Continua l’approfondimento della CORSI su “media e salute”, in previsione dell’evento pubblico che si terrà il 18 novembre a Bellinzona e dal titolo “RSI, servizio pubblico e pandemia”. Negli ultimi anni sono stati raggiunti importanti risultati di tutela ambientale grazie agli sforzi della comunità scientifica. Un esempio è l'eliminazione del piombo dai carburanti e il conseguente abbassamento del livello di questo metallo nel sangue di bambini e adulti; ma si pensi anche alle raccomandazioni del mondo scientifico per l’eliminazione dei fosfati in detersivi e nei prodotti per la cura dell’igiene personale che poi finiscono nelle acque dei laghi – anche in quello di Lugano; e, ancora, la lotta all’amianto del quale oggi è finalmente riconosciuta la nocività – era un’evidenza scientifica da anni. “Risultati come questi, se messi in luce, possono stimolare l’adesione alla lotta all’inquinamento, come quello provocato dall’eccessivo uso della plastica. Il fatto è che tanto i problemi ambientali non acuti o emergenziali (come l’inquinamento atmosferico) quanto i traguardi scientifici e aggiornamenti medico-biologico-chimico trovano ancora poco spazio nei media, sempre e troppo attenti alla notizia che fa scalpore”. A dichiararlo è Raffaele Peduzzi, biologo e presidente della Fondazione Centro Biologia Alpina.
Ricercatore di primo piano e responsabile a partire dagli anni ’70 di vari studi sull’eutrofizzazione dei laghi, ovvero dell’inquinamento delle acque dolci come conseguenza di attività umane e prodotti di rifiuto agricolo-industriale, Peduzzi non ha dubbi sul ruolo che i media possono svolgere per la sensibilizzazione all’attenzione ambientale: “Ogni qualvolta che ho organizzato un congresso scientifico in Svizzera – dal Congresso annuale dell’Accademia svizzera delle Scienze Naturali a quello della Società svizzera di microbiologia e di parassitologia – ho sempre creduto fosse fondamentale coinvolgere i media, quali strumenti per la diffusione delle nuove conoscenze, problematiche e soluzioni con le quali il mondo scientifico si confrontava”.
Paradossalmente, continua Peduzzi, nei mesi recenti, alcuni tentativi concreti di comunicare la scienza, come nuove scoperte scientifiche e problemi non legati all’emergenza Covid-19, sono arrivati direttamente dal mondo accademico e meno dai media. Questi ultimi rincorrono la notizia clamorosa ma lasciano minor spazio per approfondimenti e divulgazioni scientifiche serie e attendibili. E invece, anche in pandemia, è importante che il mondo dell’informazione non dimentichi di raccontare di quei fenomeni, come l’erosione del suolo e i cambiamenti climatici, che magari ci paiono meno impellenti ma, a lungo termine, hanno conseguenze per nulla marginali – anche dal punto di vista democratico. Infatti, il sapere scientifico non è solo una questione di mero bagaglio nozionistico del singolo ma riguarda la collettività tutta: “in una democrazia come la nostra – spiega il presidente della Fondazione Centro Biologia Alpina – dove la cittadinanza è chiamata a esprimersi anche su questioni di natura scientifica, abbiamo il diritto di arrivare al voto informati e ricevere, anche dai media, informazioni utili per compiere la propria scelta”. Insomma, conclude Peduzzi, “già nel 1500 il biologo francese François Rabelais (1494-1553) diceva che Science sans conscience n’est que ruine de l’âme e sottolineava come la conoscenza sia un affare troppo serio per essere lasciato in mano solo ai ricercatori. Io spero che i media si facciano canali di una corretta, verificata e seria cultura scientifica”.
Di Valeria Camia