Ma c’è di più. Se la divisione tra generazioni è arbitraria, non viene forse a cadere anche tutto il dibattito recente sul ruolo (positivo o negativo) dei social media per la generazione Z, gli iGen o gli zoomer? Alcune settimane fa abbiamo chiesto a Colin Porlezza, professore presso l’Università della Svizzera italiana (USI), e a Anna Picco-Schwendener, ricercatrice postdoc presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società all'Università della Svizzera italiana (USI), quale sia l’utilizzo che i giovani fanno del digitale e la responsabilità dei media contro le derive dell’online.
Questa settimana torniamo a parlare del rapporto dei giovani con i media, partendo da quanto pubblicato su Psyche: le etichette generazionali non hanno fondatezza scientifica – a sostenerlo sono circa 150 ricercatori americani, tra i quali Cort W. Rudolph, docente di psicologia industriale e organizzativa alla Saint Louis University in Missouri, e il sociologo Philip Cohen, dell’università del Maryland. Proprio quest’ultimo ha recentemente lanciato un appello ai colleghi affinché siano rivisti gli studi sino ad ora condotti e vengano rivalutate le caratteristiche individuali e contestuali (tempo e luogo) nello spiegare le preferenze di gruppi di individui.
In Canton Ticino c’è uno studio, “MEDIATICINO2.0”, che sta proprio mettendo in luce risultati che, in qualche modo, vanno nella direzione del cambio di paradigma tracciato da Cort W. Rudolph: affermare che l’essere online è sempre e comunque deleterio è una generalizzazione non sempre avvalorata dai dati.
Vediamo di che cosa si tratta: “MEDIATICINO2.0”, finanziato dall’Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca (FNS) dal 2018, è stato lanciato nel 2014 e da allora sta seguendo un gruppo di 1400 individui, tra ragazzi e ragazze, da quando facevano la quinta elementare – oggi i giovani e le giovani frequentano i licei o scuole professionali in Ticino. Da otto anni, quindi, tramite questionari puntuali e regolari (coinvolgendo anche i genitori nelle fasi iniziali) e utilizzando– per il periodo 2018-2019 – un’applicazione installata sullo smartphone di alcuni partecipanti per raccogliere dati sul loro utilizzo dello smartphone, “MEDIATICINO2.0” sta monitorando come si è sviluppato ed è cambiato l’utilizzo dei media nei partecipanti e quali cambiamenti sono avvenuti a livello di benessere psico-fisico e comportamentale nei giovani?
I risultati rivelano l’inesistenza di “un” effetto dei social media sui e sulle quindicenni nel Canton Ticino. Detto diversamente, a partire dai dati scientifici raccolti “MEDIATICINO2.0”, non possiamo né idealizzare né demonizzare il consumo di social media da parte dei giovani che partecipano allo studio. A sottolineare tutto ciò è Laura Marciano, dottoranda alla Facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana (USI) e collaboratrice per il progetto di ricerca “MEDIATICINO2.0” all’Istituto di Salute Pubblica (IPH): “Il nostro studio mostra chiaramente che ogni generalizzazione sarebbe riduttiva e un’errata rappresentazione della realtà. I social media fanno male? La risposta è che dipende da persona a persona, dal vissuto individuale, dalla personalità propria di ciascuno (ad esempio se è un individuo impulsivo o controllato, emotivo o meno). E poi l’impatto dei media va spiegato anche tenendo presente il momento di sviluppo del soggetto e l’educazione (ai media) che ha ricevuto nel contesto familiare. Insomma, gli effetti che seguono dal tempo trascorso connessi online, su Instagram, TikTok o WhatsApp sono misti, in alcuni casi piccoli e in altri addirittura nulli. Non sono uguali per un intero gruppo generazionale”.
Certo, ci sono alcune variabili – come le chiamano in gergo i ricercatori – che possono influenzare, amplificare o contenere gli effetti dei media sui giovani. Un esempio? Il tempo speso sugli schermi. La ricerca “MEDIATICINO2.0” mostra che i giovani sono connessi a Internet almeno 17 ore e mezza a settimana e passano 16 ore e mezza a interagire attraverso lo smartphone (il 99% dei partecipanti allo studio nel 2020 ha dichiarato di possedere uno smartphone): per lo più si messaggiano, ascoltano musica, si fanno video, controllano notizie, seguono influencer, lasciano (con meno frequenza) messaggi e post.
Allo stesso tempo, i dati mostrano che alcuni giovani si connettono online anche per informarsi o per condurre ricerche scolastiche e sanno disconnettersi nel momento in cui è richiesta attenzione per lo studio o nel momento del riposo notturno. Inoltre, precisa Laura Marciano, “usare i social permette anche di esprimere noi stessi: si pensi a quando condividiamo un contenuto che ci fa stare bene o un momento bello della nostra vita o una foto non ritoccata che ci riguarda”.
Naturalmente affinché l’uso dei social sia sano, è necessario una consapevolezza di fondo che i giovani devono acquisire, anche attraverso campagne di sensibilizzazione che i media tradizionali e digitali sono chiamati a sostenere.
Di Valeria Camia