Tre “C”, chiarezza, credibilità e curiosità. Sono queste le stelle polari che devono guidare il lavoro di ogni buon giornalista e un servizio pubblico che voglia essere di qualità. Ce lo ricorda Gianni Gaggini, da anni una delle persone di riferimento all’interno della RSI: da collaboratore radiofonico negli anni studenteschi a Firenze, quando faceva interviste a personaggi del mondo culturale registrandole con un lettore cassette-registratore “gigante” – come lui stesso ha ricordato in un’intervista di pochi anni fa – a corrispondente da Roma per la RSI e poi redattore, presentatore e vice produttore della nota trasmissione televisiva in onda ogni settimana su LA1, Falò.
Gianni Gaggini, partiamo dall’inizio e dal suo “esordio” – se possiamo chiamarlo così – in radio. Che rapporto ha oggi con questo strumento di comunicazione?
La radio mi accompagna giornalmente, da quando mi sveglio. Ogni mattina, alle 6.30 suona la sveglia e la prima cosa che faccio è proprio dedicare un po’ di tempo ad ascoltare i programmi radiofonici, lasciando che la mia mente veda quello che sento raccontare dalle parole altrui. La radio mi piace per quella sua capacità, così specifica e allo stesso tempo eccezionale, di emozionare, raccontandoci, con la forza delle parole, di quelle realtà, foto e immagini, che gli occhi non vedono.
Che rapporto ha, invece, con Internet, dove l’occhio è costantemente stimolato, l’estetica è centrale, le notizie sono un susseguirsi di input e colori, flash che, talvolta, abbagliano e confondono?
Internet, per le sue potenzialità, è un canale da conoscere e non certo da demonizzare. Se usato correttamente, può aiutare chi fa informazione a raggiungere un bacino sempre più ampio di utenti che sono quotidianamente connessi. Per questo, non toglierei energie alla radio e alla televisione per convogliarle sul web: ricordiamoci che spesso il lettore segue dal proprio laptop o mobile trasmissioni radiofoniche e televisive. Tutto ciò però rappresenta una sfida per chi fa informazione e anche per l’azienda SRG-SSR: è sempre più evidente che si deve essere capaci di contrastare quella tendenza per la quale l’online sarebbe un semplice serbatoio di notizie leggere, dove è concesso scrivere male o in modo approssimativo. Intenet deve essere un mezzo di informazione al pari di altri e quindi anche sui siti di notizie online è lecito aspettarsi titoli giusti, ponderati e fatti bene, ma anche occhielli scritti con sintesi e testi che sono comprensibili.
Restando in tema di chiarezza espositiva oltre che contenutistica, lo scorso 10 giugno, il Consiglio nazionale si è allineato con le posizioni espresse dal Consiglio degli Stati: è stata “scampata” un’eventuale imposizione, tra gli altri, di limiti di lunghezza ai testi pubblicati online. Da giornalista è soddisfatto di questa decisione?
Piu che soddisfatto penso sia una decisione la quale permette al servizio pubblico di essere tale, ovvero di venir messo nella condizione di intervenire e informare l’utenza con tutta la sua capacità qualitativa e quantitativa. D’altra parte, non c’è Paese a noi vicino, che vieti al servizio pubblico di fare il proprio lavoro anche sulla piattaforma online. Naturalmente, l’aver a disposizione un numero di battute potenzialmente illimitato per informare non significa che i principi di sintesi, chiarezza, oggettività e qualità possano passare in secondo piano. Lo dico in un altro modo: può cambiare il vettore tramite cui si fa informazione, ma ciò non deve andare a discapito della credibilità, fondatezza, serietà, accuratezza, curiosità.
In un mondo dove le notizie corrono veloci e sono date altrettanto velocemente, è ancora possibile formare dei buoni giornalisti?
Non solo è possibile. Io direi che è necessario. Un servizio pubblico che sia di qualità e concorrenziale rispetto ad altri canali privati deve poter contare su persone preparate e che continuino a fare ricerca e a formarsi. Come ex-presidente della Corso di giornalismo della Svizzera italiana, carica che ho assunto nel 2016, ho visto tanti giovani stimolati a prepararsi e volenterosi di imparare. Meno incoraggiante, secondo me, è l’atteggiamento di alcuni colleghi che occupano già da tempo ruoli e spazi nel mondo dell’informazione: a sembra venir meno la voglia di aggiornarsi su nuove realtà, tecnologie e linguaggi. Non possiamo aspettare che le cose vadano avanti per inerzia. Un servizio pubblico assolve al suo compito prioritariamente puntando sulla qualità e sulla credibilità del suo prodotto. E questo significa saper preservare la professionalità del personale.
Lei ha sottolineato l’importanza della formazione per quanti scelgono di dedicarsi al giornalismo, radiofonico, televisivo o online. C’è poi un altro tipo di “formazione”, o meglio un cambio di mentalità, che riguarda chi si informa sul web. Mi riferisco alla questione del pagamento per accedere alle notizie dai siti giornalistici online.
Se cambia l’atteggiamento del giornalista deve cambiare anche quello del consumatore. Così come paghiamo per l’acquisto di un giornale cartaceo, allo stesso modo è giusto, necessario e indispensabile pagare per le notizie pubblicate online perché solo sulla base della sostenibilità economica si possono offrire prodotti validi, indipendenti e autonomi dalle logiche della pubblicità. Direi quindi che è nel nostro interesse pagare per un prodotto giornalistico, tradizionale o digitale.
La questione, immagino, vale anche per il – da alcuni criticato – canone radiotelevisiovo…
Certo. Pensiamo davvero che sia possibile avere un servizio pubblico forte, adeguato e valido, privo di continue interruzioni pubblicitarie (tanto per essere concreti) ma senza essere disposti a sostenere i costi che questo comporta? Oggigiorno paghiamo quotidianamente meno di un franco per un bene che consumiamo almeno due o tre ore, se ci limitiamo alla televisione, ma che diventano molte di più se includiamo l’ascolto della radio oppure la visione di eventi ad hoc, come i Mondiali e gli Europei di calcio o le Olimpiadi appena passati.
Tra le ragioni che dovrebbero spingere a sostenere il servizio pubblico c’è anche la difesa dell’italianità. Come ha vissuto, nei suoi anni di lavoro per l’azienda, questa missione e si sta facendo abbastanza?
(sorride). Lo dice il nome stesso: noi siamo il servizio della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana. È nostro compito promuovere l’italofonia e l’italianità. Con Falò abbiamo dedicato numerosi servizi al pubblico italofono Oltre Gottardo, che è diventato sempre più curioso, esigente e reattivo al punto che si potrebbe parlare di una vera élite culturale zurighese, ad esempio, che comunica correntemente in italiano e è interessato non tanto a questioni prettamente relative il mondo della migrazione quanto piuttosto a un giornalismo capace di dare in lingua italiana una lettura di questo Paese. Tutto ciò significa, poi, riuscire a coniugare il nostro lavoro giornalistico a livello federale, uscendo dai confini cantonali, contrastando gli stereotipi sulla cultura italiana, e offrendo invece una rappresentazione oggettiva della realtà italiana. Dobbiamo essere capace di metterne in luce anche le positività, non solo gli aspetti che non vanno. Questo perché abbiamo, come italofoni e immersi nell’italianità, una ricchezza culturale immessa. La RSI ha, tra gli altri, il compito fondamentale di promuovere questo bene prezioso.
Un’ultima domanda. A breve sarà in pensione: lascerà davvero questo mestiere che definisce “il più bello del mondo”?
Per ora so che solo che mi prenderò un po’ di tempo per me stesso e per la mia famiglia, con la quale ho un enorme debito, perché tutto quanto ho fatto, l’ho potuto fare grazie e mia moglie e alle mie due figlie. Certo non smetterò di essere curioso.
Di Valeria Camia