I risultati, recentemente pubblicati, dell’indagine condotta dall'Istituto di ricerca di opinione pubblica e società (Fög) e dall'Istituto di scienze della comunicazione dell'Università di Zurigo (UZH) mostrano che tra il 2015 e il 2020 le donne sono state costantemente sottorappresentate nelle pagine dei media di informazione svizzeri. Stando alla responsabile dello studio Lisa Schwaiger, “la forte sottorappresentazione femminile nei media elvetici è il risultato delle strutture sociali esistenti e delle abitudini dei giornalisti". Abbiamo chiesto un commento a Marialuisa Parodi, co-presidente di FAFTPlus, co-direttrice di Equi-Lab e da anni impegnata a sensibilizzare sul tema dell’impatto economico delle disuguaglianze di genere, sviluppando l’argomento regolarmente nei suoi contributi alla rubrica economica “Plusvalore” di Rete Uno-RSI.
Marialuisa Parodi, in che modo può il servizio pubblico sostenere il cambiamento verso una rappresentazione di genere bilanciata e equa?
Credo sia compito del servizio pubblico intervenire, perché ci sono le basi legali e lo spazio operativo per indirizzare il cambiamento, nell’interesse, appunto, del pubblico e della qualità del servizio. Il servizio pubblico ha una grande responsabilità in questo senso; è passato il tempo dell’interrogarsi sul se, ora si tratta di concentrarsi sul come scardinare questi limiti e promuovere attivamente la parità. Diventa indispensabile porsi degli obiettivi oggettivi e quantificabili di rappresentanza e rappresentatività di genere, monitorarne i progressi, interrogarsi nel caso fossero troppo lenti, adattare le linee d’azione. C’è ormai una grande letteratura, teorica ed empirica, sulla promozione della diversità in azienda e moltissime sono le best practice già adottate dai broadcaster internazionali.
Una delle sfide verso la parità riguarda il numero di conduttrici e di ospiti femminili nelle trasmissioni…
Sono contenta che stia scomparendo dai radar l’idea che le donne sarebbero restie ad accettare gli inviti dei giornalisti. La verità è che noi donne siamo mediamente più impegnate degli uomini e, di conseguenza, tendiamo ad accogliere le sollecitazioni dei media solo quando riteniamo di poter dare un contributo di valore. Mi pare un punto di merito, più che il contrario. La sfida delle redazioni è dotarsi di liste ospiti equilibrate dal punto di vista del genere; così, se una donna declina un invito, non se ne fa un caso, per così dire, antropologico e se ne invita un’altra. So che fra le esperte ticinesi vige la buona abitudine di suggerire una collega, nel caso di impossibilità a partecipare ad una trasmissione; così come dovrebbe esser noto dell’esistenza delle banche dati di esperte, in Ticino ed in Svizzera; l’ultima di cui ho notizia è SheKnows di Alliance F, ma ormai sono davvero molte e autorevoli, quelle create anche allo scopo di sostenere le ricerche delle redazioni.
C’è poi un altro aspetto che passa talvolta in secondo piano: non si tratta solo di prestare attenzione alla rappresentanza femminile ma anche garantire una maggiore attenzione al ruolo delle donne…
Sì, la rappresentatività è determinante per moltissime ragioni, anche di giustizia e democrazia. Cito una questione di forma ed una di contenuti. Se siamo d’accordo sul fatto che persino il linguaggio non verbale sia una forma potente di comunicazione, come possiamo negare che, per le scelte future di bambine e bambini, faccia grande differenza ascoltare o vedere regolarmente voci e volti femminili trattare materie tradizionalmente maschili e viceversa? Oppure, come possiamo ignorare l’effetto concreto e limitante che la sistematica sottorappresentanza di donne leader in radio e in TV ha sull’agire quotidiano, per esempio sulle decisioni politiche ed economiche o sugli stereotipi legati ai ruoli? Sui contenuti, credo sia diventato evidente che lo stesso argomento, trattato da uomini e da donne, si arricchisca di sfumature e punti di vista, aggiungendo, a seconda dei casi, più profondità al dibattito, maggiore potenzialità di identificazione da parte del pubblico e visioni più efficaci, equilibrate, coerenti con la realtà e le aspettative della società del XXI secolo. Spesso, più l’argomento è tecnico o politicamente sensibile, meno rischi il/la giornalista si sente di correre; questo, insieme ai tempi stretti della produzione – come mi hanno spiegato – sta all’origine della ritrosia dei media a sperimentare nuovi contatti. Il problema è che l’inerzia, in questo come in tutti i campi, cristallizza lo status quo e penalizza le donne; nella fattispecie, le probabilità delle esperte di essere interpellate si riducono drasticamente.
Per cinque anni, e fino al 2020, la Federazione delle associazioni femminili Ticino Plus (FAFT Plus) in collaborazione con la RSI ha promosso i corsi “Sotto i riflettori con efficacia e serenità”. Sono in corso o in fase di progettazione altre modalità di collaborazione diretta con la RSI per promuovere le parità di genere nelle trasmissioni e in azienda?
Non abbiamo ancora avuto il piacere di incontrare la nuova Direzione, ma ci pare di percepire che il tema di genere avrà un posto rilevante nell’agenda dei prossimi anni. Questo ci fa piacere e ci stimola al dialogo, che speriamo di riprendere quanto prima.
di Valeria Camia