Secondo le statistiche pubblicate dall’Ufficio Federale di Statistica (UST) nel 2019 l’8% della popolazione residente svizzera ha indicato l’italiano come lingua/e principale/i, in diminuzione rispetto ai dati del 1970 ma in crescita rispetto al 2000. Se poi si guardano i dati relativi alle lingue principali secondo il Cantone, nel 2019, a fronte di oltre 265mila italofoni in Ticino, se ne contavano più di 72mila nel Canton Zurigo, quasi 15mila a San Gallo, e oltre 22mila sia nella Svizzera orientale sia nella Svizzera centrale, regioni in cui l’Italiano (o dialetto ticinese/grigionese italiano), tra la popolazione residente permanente di 15 anni o più, è la seconda lingua nazionale maggiormente diffusa. In questa panoramica, il ruolo della RSI per promuovere l’italianità e il suo potenziale di ascolto (anche futuro) nella Svizzera oltre il Gottardo risultano evidenti. Ecco perché vale la pena cercare di tracciare un quadro di come gli italofoni (soprattutto giovani) che non vivono nella Svizzera italiana fruiscono, o vorrebbero usufruire, della RSI. Lo abbiamo chiesto a Marco Fähndrich, un Millennial e socio CORSI che abita nel Canton Berna.
Signor Fähndrich, inizierei chiedendole una riflessione su quanto sia importante il servizio pubblico per difendere il plurilinguismo svizzero e come giudica, da Oltre Gottardo, la RSI quale espressione e strumento di promozione dell’italianità.
Parto dalla seconda parte della sua domanda: concordo che uno dei compiti della RSI sia quello di valorizzare il patrimonio culturale della Svizzera italiana e di farlo conoscere alle altre regioni linguistiche. Detto ciò, mi riesce difficile tracciare un’analisi precisa del lavoro della RSI! Certamente posso dire che non è facile trovare un altro media, che non sia il servizio pubblico o l’agenzia di stampa svizzera Keystone-ATS, che garantisca un’informazione puntuale delle varie realtà linguistiche. Si potrebbe fare di più? Certamente si potrebbe fare di più insieme. Ad esempio, noto una certa attenzione giornalistica della RSI verso quanto accade nel resto della Svizzera, ma non sempre viceversa tranne nei casi di cronaca nera. Sarebbe dunque auspicabile che la Svizzera di lingua italiana, anche quella presente all’estero, occupasse maggiore spazio nei servizi proposti da altre regioni linguistiche. Detto altrimenti, desidererei che i canali televisivi e radiofonici della SSR/SRG si interessassero con più incisività a quanto avviene di positivo nelle diverse regioni e ai temi là dibattuti. Non penso a una traduzione capillare di tutti i contenuti, ma a una maggiore cooperazione nel quadro di servizi di qualità che possono servire al resto della Svizzera per conoscere l’italianità e sentirsene parte.
Concretamente a quali trasmissioni si sta riferendo?
Le inchieste della trasmissione Falò e altri reportage, se tradotti o realizzati in cooperazione con altre redazioni linguistiche e trasmessi sui palinsesti della SRF, ad esempio, possono essere molto utili per conoscere e comprendere questioni dalla prospettiva dell’italianità.
Tradurre però ha dei costi…
Evidentemente. Ma il lavoro di traduzione va a beneficio della coesione nazionale, come aveva già sottolineato un secolo fa il Premio Nobel per la letteratura Carl Spitteler. Non è pensabile che sia fatto per tutti i contenuti, cosa che, tra l’altro, propone parzialmente il portale di notizie online swissinfo. Si potrebbe forse prevedere la traduzione almeno di titoli, sottotitoli, occhielli o proporre un breve riassunto della notizia data poi in “un’altra” lingua.
Non c’è il rischio di ledere la diversità dei contenuti e appiattire le notizie a discapito delle specificità regionali così importanti in Svizzera?
Non credo sussista il pericolo di limitare la varietà dei contenuti. Io immagino e auspico un servizio radiotelevisivo pubblico che, attraverso sinergie e cooperazioni tra le varie regioni linguistiche, possa proporre, sui propri canali, prodotti di informazione vari e diversi, proprio perché giungono da differenti regioni della Svizzera, ciascuna con le proprie redazioni e sensibilità.
Di Valeria Camia