Chi meglio di Fabrizio Macchi, celebre campione di paraciclismo che è stato attivo anche nel giornalismo, può commentare il ruolo dei media nel dare visibilità agli sport paralimpici? In vista dell’evento “Sport e inclusione davanti alle telecamere” ci ha raccontato la sua esperienza personale e ha fornito utili spunti di riflessione per chi si occupa di queste discipline.
Chi è, oggi, Fabrizio Macchi?
“Oggi sono impegnato sul fronte del benessere: ho fondato e gestisco un centro che si occupa di benessere delle persone, un traguardo che mi è stato possibile raggiungere grazie alla mia storia clinica, al mio percorso di studi e al mio percorso sportivo. Mi piace l’idea di riuscire a farlo indipendentemente da ruolo, età e professione delle persone di cui mi occupo, adattando a ognuno il nostro metodo, che portiamo anche nelle aziende”.
Come si diventa uno degli atleti paralimpici più conosciuti al mondo? Principalmente grazie ai risultati sportivi o ci vuole anche un grande impegno a livello di marketing e promozione?
“La risposta è abbastanza scontata, i risultati da soli non sempre bastano per far conoscere lo sportivo o la disciplina. Pensiamo per esempio al curling: tutti sanno cos’è perché se ne parla un po’ durante le Olimpiadi o eventualmente i Mondiali, ma poi i media non se ne occupano in altri momenti e non so quante persone lo seguano attivamente. Non tanto perché non è una bella disciplina, ma proprio perché non appare quasi mai sui media. La stessa cosa si può dire di altre discipline olimpiche. Lo sport paralimpico è un po’particolare perché si ha a che fare anche con le storie personali degli atleti. Il fatto che una persona con una disabilità raggiunga determinati risultati partendo da uno scompenso è ancora più significativo, perché prima deve raggiungere un proprio equilibrio partendo da uno “scompenso” fisico e poi da lì partire per ottenere risultati sportivi. Il racconto della storia personale è quindi una parte importante dell’immagine, a cui i media contribuiscono a dare visibilità. Poi, in generale, le persone con disabilità non sono diverse dalle altre, c’è chi ha più appeal o più dimestichezza con i media e chi è più riservato. Ovviamente i mezzi di comunicazione hanno un ruolo fondamentale nel far conoscere la persona e renderla famosa”.
Nella tua carriera sportiva hai avuto a che fare moltissimo con i media, quale la tua esperienza personale?
“I media possono dare una buona spinta, possono raccontare le cose nel modo migliore, oppure presentare i temi a modo proprio. Questo però riguarda gli sport paralimpici come tutti gli altri temi. Per alcuni lo scopo è raccontare il bello della storia, altri cercano solo lo scoop. Nel mio caso sono sempre stato trattato bene, non ho avuto esperienze negative”.
Come valuti in generale lo sguardo dei media sullo sport paralimpico? Come è evoluto, se è evoluto, nel tempo?
“Credo che sia cambiato negli anni, ma non saprei se in meglio o in peggio. Trovo che qualche anno fa le storie venivano raccontate in modo più avvincente, adesso è tutto più frammentato, più sezionato, con grandi contrasti. Ci sono momenti in cui c’è molta attenzione, poi più nulla. Non siamo ancora al livello in cui tutti gli sport vengono trattati allo stesso modo. È un po’ come se gli sport paralimpici fossero ancora in una fascia di interesse legata solo al momento preciso dell’evento”.
Giorgia Reclari Giampà, segretariato SSR.CORSI