Negli scorsi giorni, un documento della Corsi, disponibile da tempo e che si limita a spiegare come lavorare ancora di più e sempre meglio nell'interesse del pubblico e dello stesso servizio pubblico, ha improvvisamente fatto discutere. Evidenti, nella subitanea attenzione, tanto la relazione con l'imminente Assemblea quanto riferimenti a controversie recenti su singole trasmissioni.
La Rsi parla del mondo, eppure, secondo mirabolanti opinioni, il mondo non può parlare della Rsi. I giornalisti del servizio pubblico si occupano, ad esempio, dell'attualità politica, economica e sanitaria. Non sono politici, economisti o medici. I giornalisti entrano nelle aule penali e raccontano la cronaca giudiziaria, senza essere avvocati né giudici. La possibilità di discutere dei programmi, pubblicamente, è una delle forme del loro controllo esterno di qualità. Anche in questo modo, la Corsi difende dunque la qualità del servizio pubblico. Gli amici - quelli veri - ti dicono come credono che stiano le cose, non che hai sempre ragione. Senza libertà di critica si sa, anche ogni elogio è vano. Chi sostiene il contrario confonde libertà con autoreferenzialità, autonomia con onnipotenza.
Semplifico, ma meglio parlar chiaro: secondo alcuni i membri della Corsi non capiscono niente di radiotelevisione, e dunque non possono esprimersi in merito. Per altri, anche per questo motivo, è assurdo che la Corsi voglia maggiormente esercitare le sue competenze. Il paradosso puro. Queste persone - non professionisti della radiotelevisione - dicono agli organi Corsi se e come possono esprimersi e, al contempo, giudicano le trasmissioni, o meglio esprimono "mi piace l non mi piace':"fu audience':e avanti così. Il luogo deputato per parlarne, in primis, sarebbe stata proprio l'assemblea dei soci, dove, purtroppo, nessuno di questi opinionisti ha pensato di investire qualche ora del suo tempo per contribuire alla discussione. Sorvolo sul fatto che chi rimprovera alla Corsi di es sere "partitocratica" è quasi sempre, a sua volta, legato a questo o quel partito, e mi concentro, per ora, su un aspetto evocato da tutti i critici della Corsi e del suo nuovo corso: la presunta minacciata indipendenza della Rsi.
Iniziamo dai fatti, anzi dalle regole. La Costituzione federale e la Legge sulla radiotelevisione garantiscono la libertà dei media e della radiotelevisione: da chiunque e quindi anche dalla Corsi. La Ssr, sempre per legge, è tenuta a fornire un servizio di pubblica utilità e a garantire, nella sua organizzazione, la rappresentanza del pubblico. Quale ingerenza, dunque? Affermare che permettere alla Corsi di svolgere meglio i suoi compiti di rappresentanza del pubblico equiva le a limitare la Rsi e/o i suoi programmi, significa non capire la differenza fra esprimere un'opinione sul servizio pubblico e limitarne la libertà. Una posizione che offende la Rsi, considerata incapace di garantire la libertà dei suoi collaboratori, attribuisce alla Corsi intenzioni che né ha né deve avere, e che, in definitiva, vuole impedire un dibattito trasparente e democratico sull'offerta del servizio pubblico, lasciando la discussione agli addetti ai lavori e ai loro "amici".
Oggi e domani, per tutte le sfide che attendono il servizio pubblico radiotelevisivo, sarebbe utile che chi prende la parola non confondesse la libertà critica con la censura. Il processo alle intenzioni, di solito, nasconde le vere intenzioni di chi lo promuove.