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Da alcuni anni stiamo assistendo a un cambiamento radicale del mondo dell’informazione sia a livello globale sia alle nostre latitudini. Il passaggio dal lineare al digitale sta ponendo molti quesiti a chi si occupa di informazione, dato il clima d’incertezza che aleggia sul suo futuro. Di questo e di altri temi si discuterà nella seconda tavola rotonda di martedì 25 febbraio che la SSR Svizzera italiana CORSI dedica al tema del futuro dei media e del servizio pubblico nell’era digitale. Ne abbiamo approfittato per riflettere su queste tematiche con Sacha Dalcol, direttore di Teleticino e Radio3i.
Caro Sacha, sei uno dei volti più conosciuti del panorama mediatico della Svizzera italiana, ma come è iniziato il tuo percorso nel mondo dell’informazione?
Ho iniziato prestissimo. A 15 anni ho svolto il mio primo stage estivo a Radio3i. Nei due anni successivi, tra una lezione e l'altra, ho lavorato come conduttore a Radio Street, una piccola emittente di Viggiù, vicino al valico di Arzo. Nel frattempo, avevo lanciato Inforadio.ch, un sito dedicato all’informazione radiotelevisiva. Nel 2001 sono entrato ufficialmente nella redazione giornalistica di Radio3i, nel 2007 sono diventato caporedattore, nel 2017 vicedirettore sia della radio sia di TeleTicino e, dal 2021, ne sono direttore.
I primi passi li hai mossi in radio, quando essa era assieme alla televisione il principale veicolo d’informazione. Ora il presente e il futuro parlano a favore dell’online e dei social media, come vedi il futuro di questi media tradizionali?
Sono convinto che la via è stata tracciata dalla radio. La radio, intesa come oggetto fisico, è ormai scomparsa al punto da risultare quasi impossibile da rappresentare nella sua forma concreta. La radio, come dispositivo autonomo, è diventata impalpabile, irrappresentabile. È in auto, nel televisore, nello smartphone… Ecco, i media tradizionali stanno cercando di seguire l’esempio ed essere ovunque e in ogni luogo. La sfida è sopravvivere in un panorama così affollato e soprattutto adattare il proprio contenuto ai vari canali di distribuzione. Su quest’ultimo aspetto l’intelligenza artificiale potrebbe darci una mano, sul primo aspetto occorrerebbe un dibattito pubblico.
Durante la prima tavola rotonda organizzata dalla nostra cooperativa, sono emerse molte tematiche interessanti in merito alla maniera in cui le giovani generazioni si informano. Tra queste è stato citato uno studio* in cui si evince una relazione di causa ed effetto tra la maniera in cui le giovani generazioni si informano e i modelli di consumo delle notizie appresi nel contesto famigliare. È qualcosa che hai riscontrato anche tu? È un problema legato solo all’aspetto formativo o anche il giornalismo deve fare qualcosa di più per andare incontro ai giovani?
*Si tratta dello studio JAMES (2024), a cura della Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften
I giovani di oggi si muovono in un ambiente informativo completamente diverso da quello delle generazioni precedenti. I social media e le piattaforme digitali sono il loro punto di accesso principale alle notizie, spesso attraverso contenuti frammentati e veloci. Questo pone una sfida per il giornalismo: non possiamo limitarci a proporre l’informazione nello stesso formato di sempre e aspettarci che venga consumata. Serve un linguaggio più immediato, formati più visivi e un utilizzo intelligente delle piattaforme dove i giovani già si trovano. Ma senza mai rinunciare alla qualità e all'affidabilità. Per fare questo, però, occorre rispondere ad una domanda
centrale: l’informazione è un bene indispensabile per la democrazia o possiamo farne anche a meno?
In queste settimane ha fatto molto scalpore la decisione del gruppo Meta di abolire il fact-checking, ovvero il controllo delle notizie che circolano sui social media. Questa è sicuramente una faccia più cuba della digitalizzazione; è la fine del mondo dell’informazione come abbiamo sempre vissuto o è ancora possibile navigare in questa nuova realtà digitale, pur mantenendo saldi i principi deontologici del giornalismo tradizionale?
Le grandi piattaforme stanno scegliendo di non assumersi responsabilità editoriali, ma questo non significa che la battaglia per un’informazione di qualità sia persa. Al contrario, è un'opportunità per il giornalismo serio di emergere ancora di più, distinguendosi per autorevolezza, verifica delle fonti e trasparenza. Sono convinto che le persone, prima o poi, si renderanno conto dell’importanza di affidarsi ai fatti anziché alle fake news. Sta a noi giornalisti dimostrare il valore di un’informazione credibile, costruendo un rapporto di fiducia con il pubblico.
Negli ultimi mesi il servizio pubblico è spesso visto come antagonista al mondo privato dell’informazione. Come valuti le relazioni tra il servizio pubblico radiotelevisivo RSI e le altre realtà private del mondo dell’informazione presenti sul nostro territorio?
Il rapporto tra servizio pubblico e media privati è complesso e varia molto a seconda delle regioni. Nella Svizzera tedesca, dove il mercato è più ampio e competitivo, il servizio pubblico potrebbe permettersi di lasciare più spazio ai privati su alcuni aspetti. Nella Svizzera italiana, invece, la massa critica è più ridotta, e i margini per i media privati sono decisamente più stretti. In questo contesto, è essenziale trovare un equilibrio che consenta a tutti di sopravvivere: la SSR deve garantire un’informazione di qualità, ma senza occupare ogni spazio, lasciando alle realtà private la possibilità di svilupparsi e sostenersi. Solo così si può mantenere uno scenario mediatico sano, pluralista e sostenibile per il futuro.
Permettimi di aggiungere che a rendere ancora più complesso questo equilibrio c’è il ruolo sempre più dominante di Google, Apple, Meta, Tik Tok, Amazon, OpenAi e Microsoft. Se ne parla poco ma sono loro a dettare le regole del gioco sulla distribuzione dell’informazione, assorbendo gran parte delle risorse pubblicitarie e influenzando le modalità di accesso alle notizie. I media, siano essi pubblici o privati, devono confrontarsi con colossi globali che operano senza le stesse regole e responsabilità. Ecco perché la vera sfida, anche politica, non è solo tra servizio pubblico e privati, ma anche contro un panorama digitale che rischia di concentrare sempre più potere nelle mani di pochi attori globali. Ma questa battaglia, forse, non è politicamente appetitosa.
Anche in qualità di emittente televisiva privata TeleTicino, così come le altre emittenti di servizio pubblico, è beneficiaria di una quota del canone radiotelevisivo. Quanto è importante il servizio pubblico dei media per la democrazia?
Il servizio pubblico dei media è essenziale per una democrazia sana. La nostra missione, visto che anche noi offriamo un “servizio pubblico”, è garantire un’informazione regionale, accessibile, indipendente e pluralista. Il sostegno alle emittenti regionali attraverso una parte del canone è un meccanismo fondamentale che permette una maggiore diversità nel panorama mediatico, assicurando che anche realtà indipendenti possano offrire un’informazione di qualità al pubblico.
di Marco Ambrosino, Segretariato SSR.CORSI