La giornalista Alessandra Zumthor è stata per un quindicennio uno dei volti del telegiornale della RSI, sino al primo novembre del 2015, quando ha assunto la carica di direttrice del Giornale del Popolo succedendo a Claudio Mésoniat. Da quell’avvicendamento sono passati poco più di due anni, un periodo interessante per stilare delle riflessioni sul ruolo assunto e per sondare alcune dinamiche che toccano il giornalismo odierno.
Lei ha conosciuto il mondo della carta stampata e quello del video: in cosa si differenziano?
Sono due ambiti entrambi affascinanti e meravigliosi. La stampa scritta, fino all’inizio del Novecento, è stata il maggiore canale d’informazione, poi si sono aggiunte la radio e la televisione, e ora siamo all’era del web. A differenza del cartaceo, il video informativo è più immediato, ma rappresenta una grossa sintesi tematica: il servizio di un telegiornale, ad esempio, non supera i due minuti di durata, quindi la sensazione che ho sempre avuto lavorando al TG, è che “nella penna” rimanessero ancora diverse cose da dire. La carta stampata, dal canto suo, permette un approfondimento maggiore della notizia, ma non ha la potenza dell’immagine che ha il video. L’immagine giusta, abbinata a un determinato concetto, colpisce il pubblico in maniera amplificata.
E poi c’è la questione della linea editoriale…
Esattamente. La televisione pubblica dev’essere neutrale e indipendente, mentre un giornale rispetta la propria linea editoriale. Con la stampa ho potuto recuperare il lato del commento o dell’opinione, per contro più limitato in una televisione come la SSR, poiché giustamente il servizio pubblico dev’essere il più possibile rappresentativo di tutte le opinioni in causa.
Lei è diventata socia della CORSI dopo aver lasciato la RSI, una volta arrivata alla direzione del Giornale del Popolo: come mai?
Quando lavoravo alla RSI qualcuno ogni tanto tirava fuori il discorso: “Sapete che si può diventare membri della CORSI?”. Sembrava, però (erroneamente) una possibilità riservata agli esterni della SSR, perché la CORSI è un organo di sorveglianza, di controllo e di verifica dei programmi. Paradossalmente, ho cominciato ad interessarmi di più a questa attività una volta uscita dalla RSI, quando sono diventata “un’esterna” anch’io. Inoltre, la proposta per diventare socio è arrivata proprio dalla CORSI, perché chi dirige un giornale può entrare a far parte di questo organo per esprimere il proprio punto di vista. L’adesione, insomma, si è materializzata naturalmente.
Durante il suo periodo alla RSI è stata anche la referente per le pari opportunità in azienda: come reputa l’attuale situazione professionale femminile nel settore dei media e della comunicazione?
In vent’anni di giornalismo ho notato un grosso aumento numerico delle donne impiegate in questo ramo e –di conseguenza, col passare del tempo- anche di quelle con funzioni di responsabilità. Un trend senza dubbio positivo. Quando ho iniziato io le giornaliste c’erano, certo, ma erano una minoranza. Ora diverse colleghe si sono fatte strada, diventando caporedattrici, produttrici, direttrici di dipartimenti o di testate cartacee com’è capitato a me (ricordo che un’esperienza analoga c’era stata a La Regione, con l’ex direttrice Monica Piffaretti).
Ci sono degli aspetti su cui si può migliorare?
Sì, resta ancora molto da fare. Quando si mette su famiglia e, soprattutto, quando arrivano dei bambini, il responsabile di un’azienda dovrebbe dimostrare grande sensibilità nel capire le esigenze di una mamma (e anche di un papà, sia pure con determinate differenze). Parlo anche per esperienza personale, vedendo colleghe che lavorano al GdP che hanno tale necessità. Una collega ha un bambino? Bene, si riorganizza il settore. Penso che per non mettere in difficoltà le mamme a livello professionale, il mondo del lavoro debba implementare maggiormente misure come gli orari flessibili, la turnistica variabile, il telelavoro o il lavoro da casa.
E per i papà?
Il fatto che le donne lavorino va di pari passo con le mutate esigenze dei papà, che sempre di più chiedono orari flessibili. Quindi se un’azienda si dimostra flessibile e attenta agli aspetti di gestione familiare, ne beneficiano anche loro, e parimenti le famiglie, che possono stare più unite. Al GdP crediamo molto che la famiglia debba essere aiutata concretamente: non solo in termini di aiuti agli asili nido, ma in termini di tempo che un papà e una mamma possano trascorrere in prima persona coi loro figli piccoli.
Voltando pagina, la carta stampata è messa a dura prova dall’informazione gratuita in rete. Come possono rispondere i giornali a questa pressione?
I siti, buttando fuori un flusso continuo di notizie, approfondiscono poco e a fine giornata gli utenti spesso hanno in testa una grande confusione, senza avere in chiaro quali siano state le notizie prioritarie. I giornali in un certo senso hanno la funzione di mettere ordine in questo enorme guazzabuglio proposto dal web. Sei stato bombardato da 330 notizie? Ebbene, di queste ne scegliamo una decina e le approfondiamo, in base all’esigenza del pubblico e al nostro criterio editoriale. Con l’approfondimento serio e di qualità vogliamo formare dei cittadini votanti e anche contribuire a mantenere salda la nostra preziosa democrazia, fatta di persone che devono interrogarsi in modo critico su ciò che accade, senza subirlo passivamente.
In che rapporto è la vostra versione cartacea con il sito web del Giornale del Popolo?
Un portale online ci deve essere, perché altrimenti si è tagliati fuori dal web. Anche in questo caso cerchiamo di fare una certa scelta. Naturalmente, le notizie a getto continuo dobbiamo diffonderle anche noi, però cerchiamo il più possibile di non farlo acriticamente. Operiamo una selezione, perché alcune cose ci sembrano meno interessanti di altre. Ad esempio non diamo troppa importanza ai pettegolezzi, e anche a livello di notizie curiose rimaniamo entro certi limiti: non vogliamo rincorrere l’audience a tutti i costi.
Nella Svizzera tedesca la SRF mette a disposizione i suoi video di informazione economica ai media privati. Qual è la sua opinione su questo genere di collaborazioni fra pubblico e privato?
Bisognerebbe avere un corrispettivo qui nella Svizzera italiana, magari con un’offerta da parte della RSI, la quale potrebbe produrre dei video che noi potremmo pubblicare, per esempio, sul sito del GdP. I filmati andrebbero valutati caso per caso, perché bisognerebbe poter contare su contenuti neutri e oggettivi, per non cadere in un’interpretazione di parte o inadatta alla nostra linea editoriale. L’interesse comunque non manca.
Lei ha due figli piccoli: che cosa consiglierebbe loro, se crescendo le dicessero che vorrebbero diventare dei giornalisti come la mamma?
Glielo augurerei, perché è un lavoro incredibilmente appassionante. Quello che non mi stancherei di ripetere è di continuare tutti i giorni a essere curiosi, sempre, in ogni occasione. Chiaramente una persona deve possedere una sorta di “fuoco sacro”, perché se dopo due mesi dice “Ah, ma io questa notizia l’ho già vista e sentita”, non è fatta per questo lavoro. È necessario poi sviluppare un grande rigore, senza lasciarsi trascinare dalla fretta e dalla superficialità sempre più in voga purtroppo nell’informazione odierna, per cui tutto dev’essere esposto subito sui siti, notizie importanti accanto a pettegolezzi, e spesso purtroppo prima di verificare da dove arrivano le notizie.
Quel “guazzabuglio” di cui diceva sopra!
Sì! Con l’avvento del web e dei social media, pare quasi di vivere una fase di “ubriacatura”. Tutti vogliono raccontare tutto, con le conseguenze che stiamo già sperimentando come le bufale, le “fake news”, che sono di fatto l’effetto perverso dell’entusiasmo per questi nuovi mezzi. Il web, beninteso, resta uno strumento magnifico, ma -per restare all’immagine di prima- non è ubriacandosene fuori controllo che se ne trae il meglio.
E, infine, che cosa ne pensa di quei brevi video-news che stanno spopolando sui social media?
Penso che il video breve possa essere interessante e che rappresenti una dimensione accattivante, quasi ludica, per presentare le notizie. Però, se poi non c’è un approfondimento (anche cartaceo se del caso) l’informazione resta incompleta. È come pranzare con un mini-aperitivo. Non possiamo immaginare che si possa conoscere bene una tematica soltanto avendone seguito un video di un paio di minuti.