Dal giovane “enfant prodige” al ragazzo inquieto e intrattabile: sono tanti gli stereotipi che la televisione propone sui giovani, più o meno consciamente. Claudio Mustacchi, docente ricercatore presso la SUPSI, dove insegna "Individuo e identità” nel corso di laurea Lavoro Sociale, ci aiuta a fare chiarezza, grazie al suo costante contatto con la realtà giovanile e ai suoi studi:
"La rappresentazione del giovane in TV è composita. Più che per il giovane, c'è spazio per le rappresentazioni che gli adulti fanno di lui, soprattutto nelle fiction. Purtroppo, queste tendono spesso agli eccessi: raffigurano un giovane estremamente dotato e capace, oppure danno adito alla figura del giovane tipicamente insoddisfatto verso quanto lo circonda. Penso che la direzione da intraprendere sia un'altra: la televisione deve abituarsi a dare la parola direttamente ai giovani, invece di continuare a idealizzare la gioventù e deve mettersi all'ascolto di quanto i ragazzi stanno vivendo nel nostro tempo."
Quali ripercussioni può avere questa riflessione per il lavoro svolto alla RSI?
"Il format televisivo ideale è quello che rende veramente protagonisti i ragazzi. Nel mondo scientifico, del quale faccio parte, ci sono moltissimi studi sui giovani, pochi però parlano dei giovani ticinesi. È una lacuna alla quale la RSI ha tutte le capacità per porre rimedio: dovrebbe andare a scovare storie di giovani da raccontare per permetterci di capire il loro mondo nella concretezza, non solo dall'altezza di una cattedra. Ugualmente dovrebbe fare la CORSI nel suo compito di monitoraggio: capire e intercettare le esigenze dei giovani. Sono loro, in fondo, gli eroi del nostro tempo: il ragazzo che affronta l'incertezza del vivere quotidiano, le sue paure irrazionali, l'adolescente al suo primo impiego. Sono situazioni che richiedono di essere raccontate e di cui la RSI dovrebbe farsi carico. Come? Invitando il giovane a costruire qualcosa con lei, affinché il ragazzo, accolto e valorizzato, possa diventare il cittadino di domani."
"Il ruolo del servizio pubblico? Dal mio punto di vista è anzitutto culturale, sociale ed educativo. Permette agli adolescenti, distaccatisi dall'ambiente famigliare, di trovare altri punti di riferimento. Senza televisione la costruzione di un patrimonio culturale, ma soprattutto la formazione degli adulti di domani – che devono essere educati al pensiero democratico e pluralista – non potrebbe esistere. Per questo il servizio pubblico deve assolutamente stare in guardia dal suo peggior nemico: i subdoli meccanismi della legge di mercato. Con la No Billag la televisione è stata salvata da tutto questo, permettendole di continuare a svolgere il suo ruolo centrale."
Ma, arrivando a una domanda per lei quale studioso della società e della cultura, evolve prima la televisione o la società sotto il suo impulso?
"È quasi come chiedersi se viene prima l'uovo o la gallina. Credo però che sia anzitutto la società a cambiare; la televisione coglie questi cambiamenti – che magari partono da piccoli nuclei sociali – e, come un'antenna nel vero senso della parola, li amplifica. Pensiamo per contro a cosa avviene quando si tenta di imporre alla società una determinata evoluzione: la prima cosa che fanno i regimi totalitari è impadronirsi delle emittenti perché facciano da inibitori delle idee contrarie. Per questo è sempre bene vigilare sulla politica perseguita dal servizio pubblico; in definitiva, chiediamoci senza la CORSI, che patrimonio potrebbe offrire la televisione e in balia di chi finirebbe."
Intervista di Laura Quadri.