Attivo da oltre 10 anni presso il noto quotidiano ticinese laRegione, Ivo Silvestro è giornalista e dal 2024 è docente al Laboratorio di scrittura della Facoltà di comunicazione, cultura e società all'Università della Svizzera italiana USI. In occasione dell’evento pubblico promosso dalla SSR Svizzera italiana CORSI ad inizio dicembre 2024 dal titolo Quale futuro per l’informazione dei media e del servizio pubblico radiotelevisivo e per la democrazia?, l’abbiamo intervistato.
Caro Ivo, com’è nata la tua passione per il giornalismo? Quale è l’aspetto che più ti appassiona del tuo lavoro?
Ho sempre avuto la passione per la scrittura, non solo come strumento per comunicare, ma anche e soprattutto per riordinare le idee: un modo per pensare prima ancora che per raccontare.
Questa passione mi ha portato, alcuni anni dopo la laurea in filosofia, a scrivere per lavoro; all’inizio si trattava solo di collaborazioni – ho iniziato con il settimanale Ticino Sette quando ancora era un supplemento dei tre quotidiani ticinesi – e poi sono entrato a far parte della redazione di laRegione.
Dal 2024 hai assunto anche la carica di docente dell’USI e quindi sei a stretto contatto con i giovani: hai notato un cambiamento nella loro modalità di informarsi?
Avendo appena iniziato, mi è difficile parlare di cambiamenti nel tempo. In ogni caso, più che sull’esperienza personale – per forza di cose limitata e parziale –, conviene affidarsi ai vari studi che vengono condotti sul rapporto tra giovani e media come, in Svizzera, il progetto JAMES.
Quello che è certo è che studenti e studentesse di oggi si informano diversamente da come facevo io alla loro età. Ma io stesso oggi mi informo, e più in generale consumo prodotti mediatici, in maniera molto diversa da come lo facevo venti o dieci anni fa. Oggi l’offerta mediatica è molto più ricca e questo credo comporti tre cambiamenti importanti. Il primo è che l’informazione subisce molto di più la concorrenza di altri contenuti (ed è quindi portata ad adottare caratteristiche dell’intrattenimento); il secondo è che non c’è più un’offerta seguita dalla maggioranza della popolazione (come poteva essere il servizio pubblico); il terzo è che la qualità varia molto e diventa sempre più difficile e stancante, ma anche sempre più importante, valutare che tipo di prodotto mediatico ho di fronte.
Dal tuo punto di vista, quali sono le maggiori sfide per raggiungere i nuovi pubblici? I giovani sono davvero così “irraggiungibili” con i media tradizionali?
Dipende cosa intendiamo con “media tradizionali”. Perché oggi, se proponessimo un giornale (o un radiogiornale, un telegiornale, un programma di approfondimento…) tale e quale a quello di venti o anche solo dieci anni fa, non avremmo problemi solo con le generazioni giovani, ma con tutta la popolazione. Certo, quella che oggi con la diffusione dell’on demand è stata ribattezzata “offerta lineare” e ovviamente la carta stampata hanno poca presa sulle persone più giovani: a lezione mostro un quotidiano cartaceo chiedendo a chi ne ha letto uno nell’ultimo mese di alzare la mano. Ed è difficile che si muova qualche braccio. Otterrei probabilmente un risultato simile se portassi in aula una radio o un televisore.
Questo però non significa che quel tipo di lavoro sia destinato alla scomparsa: semplicemente, andrà portato su altri canali: podcast, video, articoli lunghi online (i cosiddetti longform), newsletter. Non ho citato i social media perché mi sembrano privilegiare, in generale, contenuti brevi e coinvolgenti, cosa che mal si presta all’approfondimento, ma ovviamente anche loro hanno una loro importanza.
Partendo dal presupposto che i giovani non si informano, non leggono i quotidiani, non guardano la televisione e non ascoltano la radio. Quale futuro si prospetta dal tuo punto di vista? I media e il servizio pubblico radiotelevisivo saranno destinati a sparire e con loro la democrazia?
È un presupposto nel quale non mi riconosco. Non intendo sottovalutare l’aumento di persone che ignorano l’informazione o la evitano (i cosiddetti news deprived e news avoiders), ma non penso che questi fenomeni siano semplicemente una questione generazionale, quanto piuttosto il segno di una generale stanchezza per un certo modo di fare informazione.
Non so come sarà il futuro, ma sono moderatamente ottimista sia per quanto riguarda la democrazia sia per il settore dell’informazione.
Quanto è importante il servizio pubblico dei media per la democrazia?
Lo è stato, e molto, in passato; oggi che, come detto, c’è un’offerta mediatica molto più ricca, il servizio pubblico credo sia meno importante. Ma credo anche che, se riuscirà a essere, e soprattutto a essere percepito, come indipendente e autorevole, continuerà a giocare un ruolo di primo piano.
Veronica Delsindaco, Segretariato SSR.CORSI