Dai documentari sulle sue grandi esplorazioni e scalate degli anni ’70 e ’80 alla fortunata serie “In cammino sulle creste”, il legame di Romolo Nottaris con la RSI è molto stretto. Il noto alpinista esploratore ticinese sarà anche tra i protagonisti dell’evento SSR.CORSI “Da Paese che vai alla Via Crio: in cammino sulle nostre cime con la RSI” . Nell’attesa di incontrarlo ci ha parlato dei suoi progetti per il futuro, dei ricordi legati alla RSI e anche di che cosa dovrebbero fare i media per sensibilizzare gli aspiranti alpinisti.
Romolo Nottaris, in quali progetti è impegnato al momento?
“Ho in progetto un viaggio esplorativo in Patagonia, sullo Hielo Continental, attorno al gruppo del Fitz Roy e del Cerro Torre (che ho scalato a suo tempo). Vorrei andare a fare un viaggio lì e rimanerci almeno un mese, o in primavera o in autunno, che è la stagione migliore (è infatti la primavera patagonica). Però in ottobre-novembre c’è troppa gente, io vorrei andare a esplorare là dove non c’è nessuno. Saremo un piccolo gruppo, dobbiamo ancora organizzarci. Intanto continuo a girare il nostro Ticino, che è molto bello. Ora sto facendo sci alpinismo. Poi ho sempre il mio lavoro nel mondo della montagna e del vino”.
Lei è anche documentarista, quali sono stati i suoi progetti di collaborazione con la RSI?
“Negli anni ‘70-2000 ho collaborato con la RSI per diversi documentari, ne ho realizzati circa una ventina in tutto il mondo tra Himalaya, Patagonia, Antartide, Alaska e altri luoghi. Ho girato quasi tutti i miei documentari con la RSI. Sono molto grato alla nostra Radiotelevisione per questo, perché molti viaggi e documentari non avrei potuto realizzarli se non ci fosse stata la RSI che mi supportava. Sono anche stato invitato come ospite di varie trasmissioni e negli anni ’80 ho partecipato da conduttore al programma “Ciao domenica”, in cui intervistavo grandi personaggi del mondo dell’avventura”.
Nel 2021 ha preso parte come guida alla fortunata serie RSI “In cammino sulle creste”. Come è stato partecipare a questa esperienza insieme alla troupe della RSI?
“Rispetto ai miei documentari, in cui ero io che mi occupavo delle riprese, questa esperienza è stata completamente diversa, perché c’era una squadra che ci seguiva, diretta da Stephane Chiesa (che è un regista veramente molto bravo). Io non dovevo occuparmi degli aspetti cinematografici e ho potuto concentrarmi sul mio ruolo di guida del gruppo di ragazzi. Mi sono trovato molto bene, è stata un’esperienza riuscitissima, c’era un bell’ambiente fra tutti i partecipanti: la troupe della RSI, il conduttore Aramis Dozio, i ragazzi, la guida Marie Hiroz che mi affiancava”.
A livello personale, che cosa le ha lasciato quell’esperienza?
“Per me è stato un viaggio magnifico, lo ricordo come una bellissima esperienza. Io posso dire di essere abbastanza conosciuto in Ticino, ma dopo quella trasmissione lì è successo qualcosa di davvero incredibile, la gente mi fermava per strada, volevano farsi una foto con me! Al di là del successo, mi è piaciuto molto condividere l’esperienza con il gruppo dei giovani, che erano molto motivati, volevano imparare, ascoltare. Credo che il pubblico abbia percepito questo ambiente positivo e per questo la serie è piaciuta così tanto”.
Negli ultimi anni sono aumentati gli escursionisti e gli aspiranti alpinisti sulle nostre montagne e non solo (sono ormai tristemente note le immagini delle file di persone sull’Everest). Trova che sia un aspetto positivo (una maggiore vicinanza delle persone alle nostre montagne, maggiore consapevolezza della loro importanza) oppure negativo per l’impatto sulla natura e l’aumento degli incidenti?
“Secondo me più la gente sta fuori, in mezzo alla natura, più sta bene. Quindi, spazio a tutti! Però ognuno deve andare sulla “sua” montagna, non si possono affrontare certi percorsi senza preparazione. Se prendiamo per esempio la Via Crio, il percorso che hanno seguito nell’ultima serie “In cammino” della RSI, posso dire che non è alla portata di tutti. È molto bella, ha paesaggi stupendi ma non bisogna pensare che tutti possono andarci solo perché la televisione li ha mostrati. Questo è un messaggio importante che bisogna far passare”.
Che influenza hanno i media su questo fenomeno? E quali responsabilità, se ne hanno?
“Adesso che la montagna è diventata di moda e tutti vogliono fare cose che non sempre sono in grado di fare, i media dovrebbero forse sensibilizzare di più sulla preparazione necessaria, per esempio proporre delle trasmissioni/dibattiti in cui degli esperti spiegano i percorsi dal punto di vista preparatorio. Così chi ascolta si rende conto che anche solo per andare al Basodino o all’Adula bisogna farsi accompagnare da un esperto di ghiacciai”.
Giorgia Reclari Giampà