La copertura della pandemia di coronavirus da parte dei media svizzeri è stata in generale buona, ma non sono mancate alcune criticità. È quanto emerso da uno studio dell'Istituto Fög (Forschungszentrum Öffentlichkeit und Gesellschaft) dell'Università di Zurigo pubblicato a fine luglio, che ha però preso in considerazione soltanto i media della Svizzera tedesca e romanda. E per quanto riguarda la Svizzera italiana? Ne abbiamo parlato con l’esperto di giornalismo Enrico Morresi.
Dallo studio emerge che la copertura mediatica dell’emergenza coronavirus è stata «tendenzialmente positiva» in Svizzera, anche se diversi media non sono stati «sufficientemente critici nella fase che ha preceduto il confinamento”. Concorda con questa affermazione?
“Sì, assolutamente. L’esperienza ha dimostrato che i media svizzeri sono, in generale, di buona qualità. Sul punto della relativa loro insufficienza nella fase che ha preceduto il generalizzarsi della pandemia, condivido la denuncia del prof. Stephan Russ-Mohl: per sostenere una critica occorre molta competenza e le cure di risparmio cui sono stati sottoposti molti media negli ultimi anni hanno allontanato dalle redazioni giornalisti con competenze specifiche”.
Lo studio sottolinea che la radiotelevisione pubblica e i media in abbonamento si sono distinti per la maggiore varietà dei temi affrontati, migliore pertinenza e più contestualizzazione. Nella Svizzera tedesca e romanda il servizio pubblico, i domenicali e i settimanali sono risultati più critici nei confronti dell’autorità e del governo. Nella Svizzera italiana ha fatto molto discutere l’accordo siglato tra la RSI e il Cantone per la messa a disposizione dello Stato maggiore cantonale di condotta di giornalisti per la comunicazione istituzionale in situazioni di emergenza. Un accordo che alcuni rappresentanti politici e anche la CORSI hanno chiesto pubblicamente di sciogliere, perché rappresenta potenzialmente un limite all’indipendenza giornalistica. Pensa che questo aspetto abbia influito sulla tipologia di informazione fornita nella Svizzera italiana, rendendola diversa da quella d’oltre San Gottardo?
“Io sono tra quelli che non hanno drammatizzato il problema dell’impiego di giornalisti della RSI nello stato maggiore di crisi. Sono sicuro che non è stato di danno all’indipendenza e alla qualità del servizio pubblico. Giusto tuttavia sottolineare che certe distanze devono essere mantenute”.
Lo studio evidenzia inoltre alcune carenze che riguardano tutti i media analizzati: una certa mancanza di varietà fra gli esperti intervistati, che ha visto prevalere il settore sanitario/scientifico a scapito di altri comunque toccati dalla pandemia, (come l’economia), oltre a una netta predominanza di interlocutori uomini. Inoltre, è stata rilevata una certa mancanza di contestualizzazione delle cifre e delle statistiche. Concorda con questa analisi? Ci sono altre lacune che riguardano la Svizzera italiana?
“Più il territorio è piccolo, più si restringe la possibilità di far capo a più voci – sempre inteso che siano di persone competenti! Io sono abbonato a “Le Monde” e ho letto reportages (e non solo interviste) di grande interesse. Il giornale ha raccolto da subito testimonianze impressionanti dall’interno degli ospedali e delle case per anziani. Da noi questo non è avvenuto, forse per pudore (non si volevano spaventare i congiunti tenuti fuori): ma sarebbe da approfondire se la relativa poca varietà delle voci era da addebitare alla scarsa fantasia delle redazioni o non piuttosto agli ospedali e alle case per anziani che impedivano o ostacolavano il lavoro dei giornalisti. La comunicazione era mediata dai sanitari: nel Ticino sempre gli stessi. Poi, perché le voci han cominciato a correre, si è dato corda alle ipotesi e alle critiche più sballate. Ma non si possono rimproverare i giornali quando non sono messi in condizione di lavorare bene”.
In generale secondo lei i media di servizio pubblico nella Svizzera italiana si sono distinti dai privati (in positivo o in negativo) durante gli ultimi mesi?
“Darei un voto positivo a entrambi”.
di Giorgia Reclari Giampà, Segretariato CORSI