Signora Pesenti, da alcuni anni lei è direttrice artistica, assieme alla giornalista Natasha Fioretti, di PiazzaParola, Festival letterario che, da un lato, si propone di riavvicinare il pubblico ai classici e, dall’altro, vuole promuovere la conoscenza della letteratura svizzera nelle sue quattro forme o, per meglio dire, lingue. Partirei proprio dai classici, quei libri, come diceva Calvino, di cui si sente dire di solito «Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»: ci vuole aiutare a capire perché rileggiamo i classici?
Direi innanzitutto, visto che ha citato Calvino: perché i classici sono quei libri “che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire”. Un giudizio che vale del resto per tutte le grandi opere d’arte, non solo per i capolavori della letteratura. La scelta di quest’anno dimostra quanto sia vera questa affermazione di Calvino. Si era già pensato a Robinson Crusoe due anni fa, per l’edizione 2020 del festival. Poi è arrivata la pandemia e così, tra le altre cose, ci siamo anche rese conto della sorprendente attualità del romanzo di Daniel Defoe. Gli spunti di riflessione, che il primo grande romanzo della letteratura inglese ci consegna, sono molteplici. Robinson Crusoe è un libro che parla ad esempio di solitudine, un sentimento e una condizione che tanto hanno segnato il nostro vivere dentro la pandemia: dopo aver praticato scambi e contatti solo virtuali, enfatizzandone i pregi, la vicinanza degli altri ci appare quanto mai preziosa e necessaria. Un altro tema centrale dell’opera è quello dell’individualismo, che dal Settecento in poi si configura come mito laico per antonomasia e diventa uno dei miti fondanti della civiltà occidentale della modernità. Ma c’è anche la capacità di sopravvivenza, che nasce dall’ingegnosità e dalla razionalità. E poi il rapporto con la natura, che viene addomesticata e sfruttata dal naufrago Robinson con un approccio che riassume il modello antropocentrico di sfruttamento delle risorse del pianeta, che ha caratterizzato il nostro modello di sviluppo per tre secoli con le conseguenze gravi e devastanti che conosciamo. Insomma: tutti temi che sembrano fatti apposta per portarci a riflettere sulle cause e le conseguenze di questa pandemia.
Non possiamo non parlare con lei, che siede anche nel Consiglio del Pubblico CORSI, di Cultura nel contesto mediatico: come giudica il contenuto culturale della RSI?
La RSI è un attore di primo piano nella vita culturale della Svizzera italiana e la sua presenza è irrinunciabile da molti punti di vista. Innanzitutto, quale produttrice di programmi culturali, come le trasmissioni di approfondimento in molti campi del sapere e della cultura, compresa la cultura scientifica e i programmi musicali di alto valore artistico – un aspetto molto importante, visto che la Svizzera italiana è la patria di grandi eccellenze in campo musicale: i Barocchisti, il Coro RSI e l’OSI. E poi per l’attenzione alla vita culturale del territorio, sulla quale informa in modo puntuale e competente. A PiazzaParola parleremo del ruolo del servizio pubblico e dell’importanza del giornalismo culturale con il direttore generale della SSR SRG Guy Marchand e con Dario Olivero, responsabile del settore Cultura del quotidiano La Repubblica.
Di grande attualità è il tema della relazione tra cultura e intrattenimento, anche a livello di programmazione dei palinsesti della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana: lei crede si possa combinare complessità e popolarità?
Io non credo che la domanda vada posta esattamente in questi termini: complessità e popolarità, spessore culturale e leggerezza, non sono elementi di per sé in contrasto tra loro, al contrario. La buona cultura intrattiene in modo piacevole, e popolarità non è per forza sinonimo di minor qualità. L’equivoco sta nell’assunto – che poi diventa un alibi – che la cultura sia poco interessante per la maggior parte delle persone, che sia una roba noiosa. Per cui si ritiene che per far accettare contenuti culturali li si debba alleggerire, integrandoli in siparietti spassosi, con il risultato che a volte ne esce un ibrido di dubbio gusto, non necessariamente divertente, che non piace né a chi ama la cultura, né a chi dovrebbe imparare ad apprezzarla in “formato light”: alleggerita di contenuti e significati e ammantata di gag. Qualche esperimento in questa direzione si è visto purtroppo anche alla RSI in questi anni e con risultati non sempre del tutto riusciti, dal mio punto di vista.
Abbiamo accennato, a inizio intervista, al fatto che Piazzaparola vuole anche stimolare la conoscenza della letteratura svizzera nelle quattro lingue ufficiali. Da qui, un’ultima domanda: in che modo la RSI può sostenere l’italofonia oltre il Gottardo?
Credo lo possa fare, tra le altre cose, intensificando gli scambi con le altre aziende SSR-SRG – scambi diretti e scambi di prodotti e trasmissioni. Grazie alla radio e alla televisione on demand, ormai tutti noi andiamo a cercarci i programmi che amiamo e a riascoltare le trasmissioni che ci siamo persi. Siamo in condizione di scegliere all’interno dell’offerta di tutte le reti nazionali. La RSI potrebbe risvegliare l’interesse per la Svizzera italiana attraverso una presenza puntuale, ad esempio, con trasmissioni incentrate su aspetti della cultura e della lingua italiana proposte dalle emittenti d’Oltralpe dei rispettivi territori, invogliando tutti gli utenti (non solo gli italofoni) a conoscere meglio le culture svizzere e ad apprezzare il valore e la ricchezza che la compresenza di identità e lingue diverse costituiscono per una nazione come la Svizzera.
Di Valeria Camia