In occasione delle elezioni cantonali ticinesi del 2023, da fine febbraio e per tutto il mese di marzo, la RSI propone un palinsesto ricco di appuntamenti su tutti i suoi canali. Quali novità ci sono? E come si lavora per organizzare il tutto? Lo abbiamo chiesto a Reto Ceschi, responsabile del dipartimento Informazione RSI, che ci ha anche raccontato come si prepara e si gestisce un dibattito politico.
Quali le principali novità e le motivazioni che vi hanno portato ad allestire questa offerta preelettorale?
“Quest’anno, ancora di più rispetto al passato, abbiamo voluto proporre un’offerta il più possibile integrata tra tutti i nostri vettori: televisivo, radiofonico e digitale. L'obiettivo è continuare a essere un punto di riferimento per i cittadini e le cittadine che ci seguono e contribuire alla formazione dell'opinione pubblica. E per far questo abbiamo puntato sul linguaggio, cercando di esprimerci in modo comprensibile, non da addetti lavori ed escludendo il “politichese”. Inoltre, intendiamo rimanere aderenti ai temi che interessano e preoccupano la gente. Dobbiamo parlare non a chi già si interessa di politica, ma a quelli che non la seguono o la seguono poco”.
Per la prima volta è stata la RSI a proporre un sondaggio preelettorale sulle preferenze politiche e sui principali temi dell’attualità. Come vengono utilizzati questi dati, soprattutto nel campo del digitale? In generale, l’offerta digitale è stata aumentata?
“La presenza del digitale è molto marcata, soprattutto per quanto riguarda l'elaborazione dei dati, sia quelli provenienti dai nostri sondaggi, sia dati statistici generali, per esempio lo storico delle candidature femminili o altre caratteristiche dei candidati. I colleghi del team digitale stanno facendo un lavoro straordinario di analisi ed elaborazione, rappresenta un ulteriore arricchimento della nostra offerta e fornisce materiale per approfondimenti, dibattiti e servizi. I sondaggi (uno è stato presentato il 27 febbraio, i risultati dell’altro saranno resi noti il 20 marzo), forniscono principalmente le proiezioni sull’esito del voto, ma anche elementi su molti altri aspetti e temi, che vengono poi riutilizzati come contributo alla riflessione”.
Come lavorano le redazioni e i conduttori per preparare i dibattiti preelettorali?
“Ognuno si prepara cercando di rafforzare le proprie competenze sui temi che saranno affrontati. Si legge, ci si informa e ci si confronta con i colleghi. Poi quando sono previsti più conduttori si fa un lavoro di scrittura comune. È impegnativo, ma è molto bello, perché ci si confronta e si ragiona sulla scrittura del programma e questo porta a fare una sintesi dei diversi approcci. In una conduzione tripla come quella dei dibattiti del lunedì (che gestisco insieme a Sharon Bernardi e a Paolo Ascierto) occorre un lavoro più coordinato, in modo che ci sia sintonia tra di noi, non solo di tipo personale, ma soprattutto nei ritmi, nelle modalità e nel modo di proporsi. L’importante è che tutti abbiano pari spazio e autorevolezza e che nessuno prevalga”.
“È il bello della diretta” si dice spesso, per indicare che quando si è davanti alle telecamere, nonostante la scaletta sia preparata nei minimi dettagli, ci possono sempre essere sorprese. Ci parli della tua esperienza personale di conduttore tv in diretta in occasione di dibattiti politici?
“I dibattiti preelettorali, soprattutto quando ci sono molti partecipanti, sono particolari: c'è un nervosismo di fondo perché chi viene vuole parlare come gli altri o magari anche più degli altri e tu devi gestire la discussione sapendo che questo non accadrà, perché quando ci sono tutti i partiti - quelli di governo, quelli in Parlamento che fanno gruppo, quelli che non lo fanno, quelli nuovi, ecc. – le gradazioni sono inevitabilmente diverse. Anche se bisogno fare in modo che tutti abbiano uno spazio per dire le cose più importanti che vogliono far arrivare al pubblico. Devi gestire i nervosismi (c’è chi arriva già arrabbiato ancora prima di andare in onda) con grande calma, rimanendo imparziale e senza innervosirti, anche di fronte alle provocazioni, o a chi, come è successo il 27 febbraio (ma anche in precedenza) se ne va perché dice di non aver abbastanza occasioni di dire la sua. Noi dobbiamo essere accoglienti ma senza lasciarci condizionare”.
È cambiato il modo di porsi dei politici e lo stile dei dibattiti rispetto agli anni passati (pensando per esempio a personaggi come Giuliano Bignasca)?
“Sì, lo stile dei dibattiti è cambiato tanto, nel senso che adesso i partecipanti vengono con l’obiettivo di dire quello che pensano, piuttosto che di controbattere agli altri. Quindi noi conduttori dobbiamo stimolare la discussione, essere più incisivi, provocare delle reazioni. Viene citato spesso Bignasca come esempio quasi estremo dell’abitudine alla provocazione continua nei confronti dei conduttori e degli altri ospiti. A quei tempi nei dibattiti in tv si arrivava a toni assolutamente improponibili, ma che erano diventati parte di una sorta di costume (o meglio, di malcostume). Certo, una parte di pubblico seguiva le trasmissioni solo per vedere che cosa faceva Bignasca, perché lo spettacolo era assicurato. Ma lì la scrittura del programma diventava meno rilevante rispetto all'attitudine degli attori. Ci vuole equilibrio, ci vogliono attori che se la giocano, che entrano nella logica del dibattito, si confrontano, ma anche una conduzione che partendo da un punto conduca a un altro, secondo uno schema definito. Ecco, trovare quell'equilibrio è un po’ sempre il nostro obiettivo”.
Il servizio pubblico deve dar conto in maniera equilibrata, paritaria ed equidistante, di tutte le posizioni e gli schieramenti politici. Quanto è possibile nella realtà? E che cosa si intende in concreto? In occasione del primo dibattito del lunedì, due candidati hanno lasciato lo studio perché ritenevano di non aver avuto sufficiente spazio rispetto agli altri… lo spazio di parola deve essere proporzionale al peso politico del partito e al numero di candidati/seggi oppure dovrebbe essere assolutamente paritario fra tutti gli schieramenti?
“Non esiste un paese democratico al mondo in cui tutti i candidati hanno la stessa visibilità sui media. Nelle elezioni francesi, su venti candidati solo quattro o cinque hanno più spazio, perché sono quelli che fanno il 15- 20% delle preferenze. La stessa cosa succede in Italia, negli Stati Uniti, in tutte le democrazie. Noi comunque garantiamo una certa attenzione nei confronti di tutti, attenendoci a criteri chiari e oggettivi: abbiamo individuato delle categorie, che hanno spazi diversi: prima i partiti di governo, poi quelli alleati per il Consiglio di Stato, poi partiti presenti in gran Consiglio che non fanno gruppo, poi quelli non presenti attualmente in Gran Consiglio, che sono altre tre o quattro formazioni. In generale concediamo molta più attenzione alle piccole formazioni rispetto a quanto fanno i colleghi nel resto della Svizzera”.
Com’è andato il primo dibattito di lunedì 27 febbraio?
“Si trattava della serata introduttiva e abbiamo voluto fare una presentazione generale di candidati e temi: i partecipanti erano davvero numerosi e la durata (due ore) non indifferente. Non è stato facile gestire tutto. Gli altri appuntamenti del lunedì sono invece incentrati su temi specifici e vedono la partecipazione di sei candidati e cinque o sei rappresentanti della società civile. Comunque, i dati di ascolto sono per certi versi sorprendenti perché mostrano che, nonostante la lunghezza del programma, praticamente tutti gli utenti che ci seguivano sono rimasti fino alla fine. Quindi siamo molto soddisfatti”.
Giorgia Reclari Giampà, segretariato CORSI