Le elezioni cantonali di aprile si avvicinano e i dibattiti radiofonico-televisivi s’intensificano. A cosa dovrebbero servire? A informare i cittadini sulle posizioni dei partiti e dei candidati nei diversi ambiti della politica. Come pure a spiegare le ragioni “pro” e “contro” rispetto a un tema controverso - in Ticino non ne mancano - affinché possano fare delle scelte informate e consapevoli.
Ma i dibattiti soddisfano realmente questi scopi? Dipende da alcuni elementi: il giornalista, che conduce il dibattito, il partecipante, la durata e il tempo di parola.
Compiti difficili per il giornalista
Il giornalista è il perno attorno al quale ruota tutto il dibattito. Innanzitutto deve avere conoscenza del tema, autorevolezza nella gestione del gruppo eterogeneo di partecipanti al dibattito, capacità di amministrare i tempi di parola. Meno si vede più è bravo. Come l’arbitro nel calcio. Deve sapere porre le domande, anche scomode, in modo chiaro e sintetico. Il bravo giornalista rifugge dalla tentazione di essere la prima donna e quindi evita la prolissità. I protagonisti del dibattito devono essere gli ospiti. Il giornalista deve saper frenare chi va sopra le righe. E se dovesse succedere - purtroppo succede – che il politico di turno non risponda alla domanda non deve temere di farlo notare e incalzarlo a rispondere.
Come si evince facilmente i compiti del giornalista sono complessi. Facili da enunciare, difficili da mettere in pratica, soprattutto se il dibattito è in diretta e con politici abili dal profilo retorico.
Non era questa la mia domanda
Bertrand Périer nel suo «La parole est un sport de combat» ci ricorda lo scambio fra il giornalista Alain Duhamel e il politico Georges Marchais: «Non era questa la mia domanda». «Sì, ma questa è la mia risposta». Una frase sempre di attualità con i politici decisi a cogliere l’opportunità di parlare a una vasta platea per dire quello che desiderano, senza necessariamente rispondere alla domanda.
Il comportamento, rispettoso del diritto di parola degli altri, la chiarezza linguistica e la forza argomentativa del partecipante al dibattito possono aiutare il cittadino a capire meglio il tema e a farsi una propria idea in vista del voto. Viceversa, interrompere chi ha la parola, sovrapporre la propria voce a quella degli altri, creando – talvolta ad arte – confusione, non permette al dibattito di conseguire lo scopo per cui è organizzato e non giova al cittadino-radio-telespettatore. Per questo il giornalista deve sapersi imporre.
Un esempio, ovviamente da non seguire, ce lo fornisce una puntata di «Matrioska», in cui, poco moderati da Marco Bazzi, quattro candidati al Gran Consiglio, parlando di livelli nella scuola media, hanno fatto a gara a interrompersi. Il giornalista di lungo corso sa bene che la corrida produce ascolti, ma scarsa chiarezza in chi guarda e ascolta. Per questo ai sorrisini e ai blandi richiami all’ordine si deve privilegiare il rispetto dei turni di parola nell’interesse del telespettatore.
Qualcuno li definisce dibattiti alla camomilla, quelli diretti da Gianni Righinetti a «La domenica del Corriere». In realtà sono apprezzabili per la pacatezza del giornalista nella conduzione del dibattito e per la capacità di porre domande chiare e concise. Pochi secondi e la parola passa all’ospite in studio. Un alternarsi di domande e risposte nel rispetto della diversità di opinioni, che solitamente consente di capire e approfondire il tema e al telespettatore di farsi un’opinione.
Chi dice la “verità”?
Da un giornalista che conduce un dibattito il cittadino si attende soprattutto che sappia indicare da che parte stanno i fatti, la ragione, la “verità” e da che parte il torto e la falsità.
Prendiamo, come esempio, un recente duello che ha opposto il Consigliere di Stato Zali all’avvocato Padlina sul controverso tema della tassa di collegamento, in un approfondimento de «Il Quotidiano». Il ministro ha sostenuto che la tassa non è mai entrata in vigore, il suo oppositore invece che fosse già operativa da quattro anni. È facile immaginare lo sconcerto del telespettatore, che non segue la politica quotidianamente. Si chiederà: «ma chi dice la verità?» Certo Zali l’ha rivendicata, anche con toni forti: «Avvocato, mi dispiace dirle che dice il falso, sapendo di dirlo», ma Padlina, ha replicato «questo non lo accetto». Al termine del faccia a faccia al telespettatore il dubbio può rimanere.
In casi simili al giornalista si chiede un fact-checking in diretta. Bene ha fatto Paolo Ascierto in chiusura di dibattito a ricordare al telespettatore come stanno realmente le cose: «la tassa veramente non è mai entrata totalmente in vigore, è stata prelevata da alcuni, difficile dire se non impossibile se ha avuto un effetto».
Chino Sonzogni, Responsabile del progetto «La gioventù dibatte» per la Svizzera italiana