Giornalista sportiva da quasi trent’anni, volto (e voce) noto e amato della RSI, Ellade Ossola ha seguito i Mondiali di sci alpino 2023 in Francia. Le abbiamo rubato qualche minuto delle sue intense giornate, per farci raccontare emozioni, aneddoti e curiosità sul suo lavoro, che è anche, soprattutto, una passione.
Lunedì 6 febbraio sono iniziati i mondiali di sci alpino, da quanti anni li segui? E come vivi ancora oggi questa esperienza?
“Quando ho iniziato a lavorare in RSI nel ’95, ho avuto la fortuna di potermi subito occupare di uno dei miei sport preferiti, lo sci (l’altro è l’atletica). Era infatti appena andato in pensione Sergio Noseda e mancava qualcuno che se ne occupasse. Nel ‘97 ho seguito il mio primo mondiale di sci a Sestrière, per la radio. Sono passati tanti anni, ma ancora oggi ogni volta che vado alle Olimpiadi o a grandi eventi come i Mondiali di sci provo grandi emozioni. Gli atleti cambiano, le storie anche, quindi se si va ad approfondire oltre il semplice risultato delle gare, si trovano sempre cose nuove e interessanti. Lo stesso vale per le interviste: se ci si limita a chiedere “come hai sciato?” non si va avanti molto, bisogna sempre cercare di cogliere anche la persona che sta dietro l’atleta. Per questo non mi sono mai annoiata e la passione è ancora quella dell’inizio”.
Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?
“Sono una curiosa, mi piace ascoltare le storie delle persone e trovarne sempre nuove. Questo non significa essere invadente per cercare di farsi dire le cose, nelle interviste valgono le stesse regole della vita quotidiana: occorre grande rispetto. Per entrare nella vita delle persone, si deve guadagnarne la fiducia e non tradirla mai. E per trovare le storie bisogna conoscere le persone, anche fuori dai momenti ufficiali delle riprese, magari facendo due chiacchiere al bar. In questo mi ha aiutato molto l’ottima conoscenza delle lingue nazionali, soprattutto dello schwitzerdütsch, che mi ha permesso di entrare in confidenza con molti atleti. Con alcuni è nata anche un’amicizia che dura ancora oggi”.
Quali gli aspetti più belli dell’essere una giornalista sportiva?
“Senza dubbio la possibilità di trasmettere le grandi emozioni che suscita lo sport, vivendole in prima persona, vicino agli atleti e al loro mondo per poi raccontarle per ascoltatori e telespettatori. Il bello dello sport è che fa sognare le persone, dà un senso di aggregazione”.
E quali invece quelli più negativi (se ce ne sono)?
“Non ho mai pensato ad aspetti negativi... Però potrei dire che tra le cose più difficili c’è l’organizzazione della vita privata, visto che si lavora tantissimi weekend e sere. Ecco, lì devi essere bravo/a ad incastrare le tessere del puzzle altrimenti diventa complicato! Poi forse, soprattutto i primi anni, mi è un po’ pesato il fatto che, nonostante tutto, quello dello sport rimane un ambito in prevalenza maschile. Il mio primo capo alla Radio Luigi Morandi però mi ha dato subito una chance, ha detto che avevo potenziale e non ha mai fatto differenze. Solo che in quel periodo, l’immagine televisiva della giornalista sportiva era più quello della “donna immagine” delle emittenti italiane. Ho dovuto dimostrare che non esiste solo quello. Comunque, la SSR è da sempre molto attenta all’equilibrio di genere, ancora di più negli ultimi anni, ma ci sono settori come lo sport dove occorrono più sforzi per conquistarsi una certa credibilità, si deve sempre dimostrare qualcosa in più per il fatto di essere donna. Ora, con l’esperienza che ho, questo aspetto non mi pesa più”.
Qual è l’intervista o la storia che ti è rimasta nel cuore?
“L’amicizia più forte e sincera costruita nel mondo dello sport è quella che mi lega a Dominique Gisin. Fin dal primo incontro ci siamo capite, c’è stato subito feeling. E con lei ho vissuto uno dei momenti più emozionanti: quando ha vinto l’oro a Sochi nel 2014, mi ricordo che piangeva dall’emozione, è arrivata da me e mi ha abbracciata, in diretta! Io so che bisogna sempre mantenere una distanza professionale con gli atleti davanti a microfoni e telecamere, ma al momento non ho potuto evitarlo, ci siamo abbracciate. Io mi sono emozionata molto ma ero anche un po’ in imbarazzo per le reazioni che quel gesto avrebbe potuto avere, a Comano e tra il pubblico. Alla fine quel momento di emozione spontanea è piaciuto tanto, lei era molto amata anche in Ticino. Quello è stato il momento più emozionante della mia carriera professionale, perché conoscevo la storia di Dominique, quello che aveva vissuto e quindi quanto significava quella vittoria per lei”.
Che cosa significa per te lavorare per la RSI (quindi per il servizio pubblico)?
“È una fortuna, perché il servizio pubblico dà la possibilità di seguire gli eventi sul posto e questo dà un grande valore aggiunto ai contenuti che produciamo. Inoltre, nessuno mi fa pressione per portare a casa uno scoop che guadagna clic a tutti i costi. Posso permettermi di essere rispettosa, guadagnare la fiducia delle persone. Se qualcuno mi chiede di non pubblicare qualcosa che ha detto o fatto, io lo cancello. Altri media lo pubblicherebbero proprio perché magari è un video o una frase che può fare polemica e quindi dare tanta visibilità (e guadagno). Questo non vuol dire non essere mai critici. Le domande “scomode” si possono sicuramente porre e se si ha il rispetto della persona intervistata si otterrà anche di più.
Posso portare l’esempio di Mikaela Shiffrin. Quando ha iniziato a gareggiare in Coppa del Mondo non aveva ancora 16 anni e la conoscevano solo gli addetti ai lavori. L’anno successivo al suo debutto, con la collega Gaëlle Cajeux che attualmente lavora per la RTS, avevamo chiesto di poterla intervistare proprio qui a Courchevel. Si è presentata con la mamma, era la prima intervista internazionale che rilasciava ed era sorpresa che dei media svizzeri si interessassero a lei! Poi è diventata la campionessa che sappiamo e noi oggi viviamo ancora di rendita forse anche grazie a quell’intervista”. Nella fotogallery Ellade Ossola, Gaëlle Cajeux e Mikaela Shiffrin di nuovo riunite per un'intervista, ndr.)
Come è cambiato il modo di vivere lo sport sui media? E di conseguenza come è cambiato il tuo lavoro con il digitale?
“L’avvento del digitale è positivo, ma a volte porta a pubblicare cose che con il giornalismo non hanno niente a che fare e questo abbassa il livello di quanto si trova sui media. Inoltre è cambiato il rapporto con il pubblico: grazie ai social, gli atleti hanno un canale preferenziale di contatto con i loro fan, anche senza la mediazione dei giornalisti. Secondo me però il giornalismo di qualità esiste ancora. Magari si parte da quanto si trova sui social, ma poi lo si sviluppa, si va oltre. E non è vero che i giovani non leggono più gli approfondimenti, ci sono quelli che lo fanno. L’importante è pubblicare contenuti di qualità. Lo dico sempre ai giovani giornalisti che iniziano: per poter produrre qualcosa di interessante bisogna documentarsi, leggere tanto, prepararsi, approfondire”.
Giorgia Reclari Giampà