Le riflessioni e i consigli di Aldo Sofia, storico giornalista RSI e direttore del Corso di giornalismo della Svizzera italiana, intervistato in vista del dibattito online del 3 dicembre, che vedrà protagonisti i nuovi direttori dei quotidiani ticinesi Paride Pelli (Corriere del Ticino) e Daniel Ritzer (laRegione).
Come vede il presente e il prossimo futuro dei media nella svizzera italiana? Sono i media tradizionali ad essere in crisi profonda o lo è anche il giornalismo?
“Il quadro generale è preoccupante, anche se la Svizzera italiana – che conta ancora due quotidiani e diverse testate fra gratuiti e settimanali, oltre alla RSI – rappresenta ancora una piccola anomalia nel panorama europeo internazionale. Ma la corrosione degli introiti è sempre più veloce. Arriviamo da un anno in cui è scomparso il Giornale del popolo e questo si ripercuote su tutto il mondo dell’editoria. La pandemia ha aggravato la situazione facendo emergere un paradosso: all’aumento della domanda di informazione corrisponde un netto calo delle entrate. La crisi sta aumentando il rischio della desertificazione in ambito mediatico anche in Svizzera. Molti lettori ormai si rivolgono ai social, ma gli introiti pubblicitari in calo non vengono compensati dalla pubblicità online. Il problema è che nella Svizzera italiana non ci sono strutture redazionali e mezzi sufficienti per fare quello che hanno potuto fare grandi testate come il New York Times, dove il sito è un giornale a sé, che propone contenuti autonomi rispetto al cartaceo. I siti online delle nostre testate spesso si limitano a riprodurre quello che c’è sul cartaceo e così non danno valore aggiunto”.
La concentrazione delle testate in gruppi multimediali, che avviene anche nella Svizzera italiana, è una soluzione adeguata per sopravvivere o rappresenta un rischio?
“Il problema dell’impoverimento dovuto alla concentrazione dei media si percepisce soprattutto nel resto della Svizzera. In Ticino trovo giusto che i quotidiani concentrino gli sforzi associandosi ad altri media. La concentrazione non è una garanzia di maggiore informazione, ma permette di resistere alla crisi”.
Che cosa ne pensa dell’aiuto pubblico ai media come soluzione per tamponare le grosse perdite che sta vivendo il settore?
“I pacchetti di aiuti varati dalla Confederazione negli scorsi mesi sono una boccata di ossigeno per i media privati, che sono in grande difficoltà economica, ma ci vorrebbe una soluzione strutturata che guardi al futuro. Non bastano certo gli aiuti alla distribuzione postale stanziati quest’estate. Inoltre, il sostegno ai media online è stato bocciato. A me sembra che su questo ambito la politica sia in ritardo. Andrebbe istituito un organo che definisca bene chi fra le realtà online produce contenuti giornalistici e ha personale formato e chi no, c’è una grande differenza. Ci vuole una vigilanza su contenuto e qualità, per definire bene chi rispetta certi requisiti. Ma c’è urgenza di trovare una soluzione perché la situazione è drammatica. Comunque, occorre fare attenzione perché l’aiuto pubblico non deve arrivare a rappresentare un problema per l’indipendenza del giornalismo”.
Il giornalismo di qualità, che si distingue con inchieste e approfondimenti dalla massa di notizie usa e getta (e fake news) richiede tempo e risorse, due fattori sempre più rari. Esistono ancora le inchieste nella Svizzera italiana? Solo il servizio pubblico ha ancora i mezzi per realizzarle?
“Il servizio pubblico ha ancora la possibilità di salvaguardare una delle espressioni più interessanti e di qualità del giornalismo, quella dell’inchiesta (e dell’approfondimento). Ma la crisi del giornalismo va al di là di problemi economici. Le testate dovrebbero porsi il problema di che tipo di giornalismo vogliono proporre e magari se sacrificassero un po’ le news di agenzia e concentrassero le proprie risorse sugli approfondimenti e le inchieste la qualità sarebbe più alta. Nei corsi di giornalismo insistiamo molto su questi aspetti. Certo non è facile. Quando ho iniziato a dirigere il Corso di giornalismo, nella lezione introduttiva ho detto agli allievi: “ Siamo qui a cercare di darvi gli strumenti per un lavoro che non sappiamo come sarà fra pochi anni”. Però l’unico modo per reggere alla competizione con i social è puntare sulla qualità”.
È vero che il servizio pubblico ha nettamente più mezzi rispetto ai privati, ma anche la RSI ha annunciato varie misure di risparmio e gli investimenti previsti riguardano soprattutto la digitalizzazione. La RSI fa abbastanza nell’ambito delle inchieste e degli approfondimenti o potrebbe fare di più?
“Una parte delle risorse del servizio pubblico viene investita sempre nell’approfondimento giornalistico. Non dimentichiamo che la RSI è una delle rare emittenti che offre quattro prime serate a settimana dedicate ad approfondimenti (Storie, 60 minuti) o inchieste (Falò, Patti chiari). Non è poco. Certo poi è importante che la qualità dei servizi mandati in onda sia alta e per farlo si deve puntare sulla formazione. Questo è un altro punto critico per molti media: quanto tempo si investe davvero per seguire e formare i giornalisti?”
Infine, che augurio o consiglio si sente di dare ai nuovi direttori dei quotidiani?
“Quello che darei a qualsiasi direttore: non perdere di vista qualità, originalità e formazione. Rinunciare alle notizie che si trovano già sul web e concentrare le risorse su approfondimenti commenti”.
di Giorgia Reclari Giampà, segretariato CORSI