Dagli studi della RSI Francesca Margiotta anima la cucina più celebre della Svizzera italiana. Le abbiamo fatto alcune domande per conoscere meglio il suo rapporto con i fornelli e il piccolo schermo e abbiamo fatto alcune curiose scoperte.
Carlo Cracco diceva “se vuoi fare il figo usa lo scalogno” e lo ha reso anche il titolo di un suo libro. In cucina, per te, cosa rende veramente "fighi"?
Mi piace pensare che ognuno di noi abbia la sua ricetta per essere “figo” in cucina. I nostri piatti forti, ad esempio, sono un piccolo marchio di fabbrica che i nostri ospiti conoscono e, magari, richiedono, se invitati.
Tuttavia credo che uno dei segreti dei grandi chef, ciò che rende loro fighi e che potrebbe funzionare anche per noi, con un po’ di impegno, è l’effetto sorpresa, insomma: creatività e fantasia.
La cosa che mi lascia sempre piacevolmente stupita quando assaggio i piatti dei miei chef preferiti è la capacità di osare, azzardando inediti accostamenti…oppure, per noi “comuni mortali”, ispirandoci ad accostamenti inusuali già sperimentati da chi è del mestiere. Un mestiere che evidentemente, oltre ad un grande sacrificio quotidiano, esige anche una ricerca continua.
In televisione il numero di programmi e talent show di cucina è esploso. Come mai c’è sempre più interesse per questo genere?
Ho una certezza: che il cibo faccia compagnia. Resta un territorio comune, un argomento sul quale tutti, in qualche modo, abbiamo competenza ed occasione di confrontarci. Non importa se si ama cucinare, se non lo si fa, se si hanno gusti particolari o se si è dei veri appassionati: la cucina ed il cibo creano un’atmosfera di casa.
Certo, non tutti i programmi di cucina sono uguali. In qualche occasione, si tratta di un pretesto per fare da “contenitore” per altri temi, qualche volta è la sfida, il gusto del vedere la competizione, che appassiona… io so che, ad esempio, Cuochi d’artificio è apprezzato perché dà utili consigli in cucina ma anche, con i suoi ospiti, cerca di fare “cultura del cibo”. È sempre più importante sapere quel che mangiamo, e questo può essere un altro motivo per cui i programmi di cucina riscuotono tanto interesse.
Anche in Rete il cibo sembra ormai onnipresente. In particolare su Facebook è difficile non incappare su qualche video, in cui agili mani stanno preparando un qualche piatto o dolce. Che cosa cambia per un programma televisivo di cucina con questa nuova competizione?
Trovo questo fenomeno molto divertente, ed anche arricchente. Avere un pubblico competente e stimolato, in questo senso, ci spinge a nuove sfide. Attenzione, però, alla saturazione: io ne soffro. Quando mi capita di vedere molti di questi video, proprio sui social da voi citati, mi prende una sorta di insofferenza che, anziché crearmi attrazione verso il cibo, mi crea repulsione.
Mi piace vedere uno chef alle prese col suo mestiere: come si dice dell’ufelèe? :-)
Se non fossi conduttrice di un programma di cucina, che cosa faresti?
Senza dubbio sarei alla radio, da dove già arrivo, a raccontare di musica, di storie, di emozioni. Insomma, sarei sempre “in aria”! (anche se da bambina sognavo di fare l’astronauta o l’attrice!)
Guardavi “Cosa bolle in pentola”, il primo programma di cucina trasmesso dalla RSI e condotto da Bigio Biaggi? Come si è evoluto lo stile di conduzione in questi anni?
E come dimenticare il mitico Bigio e le sue imprese trai fornelli, i suoi compagni d’avventura e quell’atmosfera di casa che c’era in quei programmi?
Non saprei parlare di “evoluzione” della conduzione, un po’ perché mi sembra presuntuoso, un po’ perché ogni periodo storico ha il suo naturale adeguamento a quel che c’è intorno. Oggi, forse, i tempi televisivi sono meno dilatati, il ritmo è un po’ più intenso…ma so anche che “Cosa bolle in pentola” è, per il nostro pubblico, ancora ben presente nelle menti e nel cuore. Quindi direi che ci adeguiamo alla modernità del mezzo senza perdere di vista i maestri che ci hanno preceduti!
Aggiungo che ogni persona ha il suo stile, il suo carattere: condurre un programma non significa recitare, quindi le singole personalità emergono, dando ai programmi sapori diversi.
Quando cucinare diventa uno spettacolo di fronte a migliaia di persone, come cambia l’intimità della cucina di casa?
Se si intende nella MIA cucina, be’, direi che nulla è cambiato! Vi dirò: ho un compagno che ama cucinare e lo fa benissimo, quindi eleggo lui a “star” dei miei fornelli! Io resto una cuoca che ama cimentarsi ma troppo pigra per il cimento quotidiano! Soprattutto, faccio una cosa che sconsiglio sempre ma nella quale cado spesso: sperimentare un piatto, per la prima volta, quando ho degli invitati!
Se invece la domanda allude alle cucine di tutti: io spero che qualche dritta arrivi a chi ci segue, qualche informazione per giungere meglio in fondo alle ricette ed essere sempre stimolati a mettersi alla prova. Spero che l’ansia del giudizio, quello degli ospiti ad esempio, non venga a nessuno!
A settembre la CORSI porta Andrea Illy, il re del caffè, negli studi della RSI per un incontro con il pubblico. Se dovessimo sorprenderlo con qualcosa di unico fatto con il caffè, cosa ci suggeriresti?
Domanda da un milione di dollari, anche di più!
Di menù a base di caffè ne sono stati proposti, a partire da svariati chef stellati, parecchi.
Ma per rendere la proposta più originale, perché non proporre una cena intera a tema “chicchi”, in cui ai chicchi di caffè vengano affiancati gli altri preziosi chicchi che usiamo in cucina, a partire da quelli del riso, passando magari per un secondo con carne ed altri chicchi -quelli della melagrana- e concludere con un dessert preparato sempre col caffè e con la farina ricavata dai chicchi di mais?
E perché -azzardo ancora più grande- non accompagnare una simile cena con diversi blend di caffè e diverse preparazioni (caldo, freddo, miscelato, in cocktail)?
Ma soprattutto: me lo presentate, il Signor Illy?
Naturalmente sei invitata all'incontro del 7 settembre. L'entrata è libera e speriamo possa interessare anche altre persone.