Venerdì 1 ottobre é stato consegnato il Premio Ermiza 2021, che dal 2011 e a cadenza biennale, valorizza i migliori lavori d'informazione e approfondimento sul tema della parità di genere realizzati sui media radio, televisivi e web della Svizzera italiana. L’evento si è tenuto al termine dell’intervista pubblica al direttore RSI, Mario Timbal.
La questione delle disparità di genere è molto attuale e le istituzioni così come le amministrazioni svolgono un ruolo centrale per garantire la parità nel rispetto delle differenze di genere, come ricorda Rachele Santoro, Delegata per le Pari opportunità dell’Amministrazione cantonale.
Signora Santoro, in Ticino, possiamo dire che sia all’interno sia all’esterno dell’Amministrazione stia crescendo la sensibilità verso il tema della parità e si tratta di un impegno reale?
Negli anni il tema delle pari opportunità è divenuto sempre più presente nell’ambito delle politiche pubbliche del Cantone. Le mobilitazioni sociali come lo sciopero nazionale delle donne del 2019, il movimento #metooo, le ricorrenze legate al 50° anniversario dall’introduzione del suffragio femminile, al 40° anniversario dall’entrata in vigore dell’articolo costituzionale che garantisce la parità tra i sessi di diritto e di fatto (art. 8 cpv. 3 Costituzione federale) e ai 25 anni dall’entrata in vigore della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che sancisce il divieto di discriminazioni in ambito professionale, hanno permesso di far avanzare l’agenda politica sui temi della parità. Questa spinta si è tradotta in un impegno reale, ad esempio attraverso l’istituzione di una figura di coordinamento cantonale nel settore della violenza domestica, la messa a disposizione di risorse per lo svolgimento di un bilancio di genere nel settore della politica familiare e la decisione di dotarsi di un piano di azione cantonale con obiettivi e misure concrete volte a promuovere le pari opportunità.
Quali sono le principali difficoltà delle pubbliche amministrazioni nella promozione della parità?
Promuovere la parità di genere significa trattare un tema trasversale che tocca l’insieme delle politiche pubbliche e delle azioni dello Stato, dell’economia e della società. La sfida principale riguarda proprio l’adozione di un approccio “Gender Mainstreaming” in cui le politiche sociali, economiche e istituzionali considerano gli interessi, i bisogni e le preoccupazioni di donne e uomini per promuovere la parità di genere in ogni ambito della società. Per fare un esempio concreto: se vogliamo avere più donne nei ruoli dirigenziali non è sufficiente introdurre delle quote rosa. È necessario intervenire nell’ambito della conciliabilità lavoro-famiglia, facilitando l’accesso alle strutture di accoglienza della prima infanzia con orari e rette adeguati, le aziende devono flessibilizzare le condizioni lavorative, gli uomini devono essere maggiormente presenti nel lavoro di cura: si tratta dunque di un approccio sistemico. La trasformazione sociale è un processo graduale e come ha sottolineato Ruth Bader Ginsburg, seconda donna giudice della Corte Suprema statunitense, “il vero cambiamento, il cambiamento duraturo, avviene un passo alla volta” ed è proprio così che si sta procedendo verso una società più equa.
Si sente dire, spesso, che l’educazione svolge un ruolo fondamentale per il raggiungimento della parità. Oltre a famiglia e scuola, lei ritiene che spetti anche ai media il compito di “lavorare” al fine di evitare che la disuguaglianza di genere si trasformi, negli anni, in disuguaglianza sociale? E come possono svolgere il loro compito?
Recentemente la Conferenza svizzera delle/dei delegate/i alla parità (CSP) ha pubblicato i risultati per la Svizzera del Global Media Monitoring Project (GMMP), ovvero uno studio sulle rappresentazioni di genere nei media. Dall’analisi emerge che le donne rappresentano appena il 28% delle persone menzionate dai media elvetici (21.5% nella Svizzera italiana) e che sono meno sollecitate nel ruolo di esperte. Il modo in cui vengono presentate le notizie, il linguaggio utilizzato, chi viene citato nei media (donne, uomini, giovani, anziani, con quali percorsi e vissuti?) e il ruolo attribuito (testimoni, opinionisti/e, esperti/e), influenza il nostro modo di interpretare e comprendere la società. Perciò i media hanno una responsabilità nel promuovere delle visioni diversificate e nel proporre una varietà di persone e opinioni. Possono farlo attraverso la formazione dei/delle professionisti/e nel settore dei media sul tema degli stereotipi di genere, del sessismo, del linguaggio inclusivo (verbale e visivo), della violenza di genere e delle discriminazioni. I media possono inoltre fare uno sforzo ulteriore per promuovere un equilibrio di genere tra gli/le intervistati/e, coinvolgendo ad esempio delle persone al di fuori della solita cerchia di esperti/e e opinionisti/e. Poi vi sono delle misure strutturali, come ad esempio l’introduzione di politiche del personale che pongono degli obiettivi concreti in termini di parità o l’adozione di codici etici che promuovono la diversità di genere nei prodotti radio, video, web e sulla carta stampata. Infine, anche campagne pubbliche o concorsi come il “Premio Ermiza”, contribuiscono alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle redazioni sui temi legati alla parità di genere.
Di Valeria Camia