L’astensionismo giovanile
Alle votazioni federali del 2020 si è confermato il fenomeno dell’astensionismo, decisamente preoccupante per la democrazia svizzera. Il 9 febbraio in Ticino ha votato il 39%, il 27 settembre si è espresso il 60% e il 29 novembre ha partecipato il 43%.
È inquietante soprattutto l’astensionismo giovanile. Alle elezioni federali del 2019 ha partecipato il 33% degli aventi diritto tra i 18 e i 24 anni. Da tempo solo un terzo di questa fascia di età esprime il proprio voto e questo malgrado gli sforzi di Cantoni e Comuni nel sostenere il progetto easyvote.
Dalla piazza al voto
È vero che ci sono molti giovani interessati ai problemi della società e del mondo. Sono però più propensi a manifestare che a votare, perché ritengono troppo lenti i tempi della politica per risolvere questioni urgenti come il cambiamento climatico e le ingiustizie sociali. Ma è pur vero che in una democrazia rappresentativa semi diretta come quella svizzera i cambiamenti non passano dalle proteste di piazza, ma dal parlamento e dal voto dei cittadini. Le manifestazioni sono potenti strumenti di pressione sulla politica istituzionale e di mobilitazione dell’opinione pubblica, ma da sole non cambiano la realtà. Sono necessarie delle modifiche legislative e queste si attuano attraverso la politica, la partecipazione e il voto. Ogni voto conta. L’astensionismo non paga.
Ricette vecchie e nuove
Per stimolare la partecipazione dei giovani non serve lamentarsi e riproporre le ricette fallite finora. Non crediamo neppure nell’obbligo di voto, con sanzione pecuniaria per chi diserta le urne, come avviene in Australia o nel Canton Sciaffusa, perché l’espressione deve essere libera e frutto di una scelta consapevole e meditata.
Si deve ripensare il modello attuale. Il voto a 16 anni, recentemente passato al Consiglio Nazionale, potrebbe essere una risposta interessante. L’Austria l’ha introdotto nel 2007 con esiti molto positivi e tassi di voto giovanile oltre il 60%. Parallelamente si potrebbero incentivare forme di partecipazione sociale più vaste, ovvero la “democrazia liquida”.
La scuola palestra di democrazia
Anche nella scuola è necessario un ripensamento della formazione del cittadino. Si sostiene, a parole, l’importanza dell’educazione civica e alla cittadinanza, ma nei fatti, mediamente in Svizzera, non si va oltre un’ora settimanale. Inoltre si punta soprattutto all’istruzione civica (conoscenza del sistema politico-istituzionale), sicuramente molto importante, ma non si dà spazio ai temi in votazione, se non molto raramente. La scuola deve essere palestra di democrazia e luogo dove sia realmente presente una cultura del dibattito e del confronto su temi sociali, politici, economici, etici. In questo senso l’attività coinvolgente che come associazione La gioventù dibatte proponiamo alle scuole medie, medie superiori e professionali da ormai dieci anni può essere una valida risposta per combattere l’astensionismo giovanile.
Servizio pubblico, educazione ai media e alla cittadinanza
Merita grande attenzione anche il ruolo che potrebbe svolgere il servizio pubblico radio-televisivo per l’educazione dei giovani alla cittadinanza attiva.
L’importanza dell’informazione di qualità per la democrazia è indiscutibile e il pericolo delle fake news diffuse a ritmo vertiginoso dai social è palese a tutti. Il tempo delle diagnosi è finito. Urge passare all’azione creativa, proponendo nuove trasmissioni radiofoniche e televisive in cui ci sia una reale educazione alla lettura critica delle informazioni, in cui i giovani abbiano degli spazi per dibattiti argomentati, anche per formulare delle proposte come cittadini a pieno titolo. Tutto questo in perfetta sintonia con il mandato del servizio pubblico che contempla “formazione, informazione e offerte ai giovani”.
Non mancano esempi ai quali ispirarsi. Pensiamo a RAI Cultura che si occupa della gestione di RAI Scuola, portale dedicato al canale televisivo focalizzato sulla formazione scolastica e la didattica, con dinamiche trasmissioni in cui i giovani sono protagonisti, come ad esempio “Zettel debate”.
In conclusione, se lo spazio dedicato a giochi e quiz venisse, almeno in parte, consacrato alla formazione e all’educazione dei giovani, molto probabilmente si avrebbe meno audience, ma lo spirito del mandato di servizio pubblico sarebbe ancor più rispettato.
di Chino Sonzogni, responsabile La gioventù dibatte per la Svizzera italiana