La gioventù dibatte ha seguito con grande interesse le elezioni presidenziali statunitensi, soprattutto i dibattiti. L’evento è stato ben coperto anche dalla RSI. Che cosa rimarrà dei confronti fra le due coppie di sfidanti e della campagna elettorale? Rimarrà lo stop, in diretta televisiva, della conferenza stampa di Donald Trump. Per la prima volta nella storia dell'informazione americana le principali emittenti hanno interrotto il discorso di un presidente perché - a spoglio ancora in corso - denunciava brogli e irregolarità di voto. I giornalisti hanno spiegato agli spettatori increduli “interrompiamo perché la maggior parte di ciò che il presidente degli Stati Uniti sta dicendo è assolutamente falso”. Un vero e proprio fact checking in diretta.
Censura? Favorevoli e contrari
Questa censura ha scatenato numerose reazioni contrarie e favorevoli. Contrarie perché non rispettose del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che recita: “Il Congresso non promulgherà leggi (…) che limitino la libertà di parola, o di stampa”. Favorevoli perché i media devono fornire informazioni corrette comprovate dai fatti e non amplificare messaggi propagandistici di parte. È quanto chiede anche La gioventù dibatte a chi partecipa ai dibattiti: informarsi, verificando l’attendibilità delle fonti, prima di prendere posizione ed esprimersi pubblicamente.
Il fact checking dovrebbe essere maggiormente presente anche nei dibattiti politici sulle nostre reti radiofoniche e televisive, dove talvolta filtrano mezze verità e persino menzogne per conquistare il consenso dei cittadini.
«Sei un bugiardo» e «Tu non sei intelligente»
La campagna elettorale americana ha fornito anche un esempio negativo di dibattito: il primo confronto televisivo fra Biden e Trump del 30 settembre a Cleveland. Un confronto confuso e frammentato dalle continue interruzioni di Trump, che ha adottato la strategia ben nota di sovrapporre la propria voce a quella di Biden, per far perdere il filo del discorso al contendente e impedirgli di esprimere compiutamente il proprio pensiero. Nel dibattito successivo del 23 ottobre a Nashville si è deciso di chiudere il microfono a chi non avesse la parola in quel momento.
Una regola, definita del «tempo protetto», fondamentale nella metodologia promossa da La gioventù dibatte e giustificata dalla necessità di garantire a tutti l’espressione rispettosa delle proprie opinioni.
I’m speaking
Rimarrà nella nostra mente l’ormai celebre “I’m speaking”, il virale “Sto parlando io” con il quale Kamala Harris ha zittito più volte Mike Pence che la interrompeva nel dibattito che si è tenuto l’8 ottobre a Salt Lake City. Non è normale che a difendere il proprio spazio di parola debba essere lo stesso partecipante al dibattito. Lo dovrebbe assicurare il moderatore. Anche sulle nostre reti radiofoniche e televisive, dove le intemperanze sono molto meno frequenti, succede che qualche politico a corto di argomenti interrompa gli altri. Andrebbe immediatamente fermato dal moderatore, affinché i radio-telespettatori a casa possano capire chiaramente le diverse posizioni.
«Lei è il presidente, non è uno zio pazzo»
Giornalisti e moderatori non devono farsi intimidire dai loro interlocutori. Savannah Guthrie, anchorwoman della rete televisiva Nbc, durante un’intervista a Trump ha replicato con fermezza alle risposte evasive del presidente, incalzandolo su temi delicati come la gestione della pandemia, i pericoli del razzismo, le dichiarazioni fiscali mai pubblicate e i suoi celebri tweet. A Trump che si giustificava “ma sono soltanto opinioni di altri, io le ritwitto e poi la gente può decidere” la giornalista ha replicato: «Ma lei è il presidente, non uno zio fuori di testa che può ritwittare ogni cosa». Nessun timore reverenziale, molto coraggio e determinazione, che andrebbero presi a esempio da chi lavora nei servizi informativi anche da noi.
di Chino Sonzogni, responsabile La gioventù dibatte per la Svizzera italiana