In occasione del Convegno “Italofonia e il ruolo del servizio pubblico dei media di lingua italiana” il prossimo 7 maggio a San Gallo è prevista una tavola rotonda dedicata alle aspettative delle cattedre di italianistica e delle scuole dove si insegna l’italiano nei confronti del servizio pubblico mediatico, che – come spiega Tatiana Crivelli, professoressa ordinaria di letteratura italiana presso l'Università di Zurigo – è centrale per promuove l’italianità in Svizzera.
“Partiamo da una considerazione iniziale, ma centrale – dice la professoressa – che riguarda la necessità di andare oltre alla connessione univoca tra lingua e territorio. Il Forum per l’Italiano in Svizzera da diversi anni lavora a partire da questa posizione, offrendo uno spazio in cui diversi e importanti attori possono ragionare sull’italiano in Svizzera in generale. Inoltre, credo che il servizio pubblico sia chiamato a promuovere questa inclusione, così come la conoscenza e la comprensione reciproche nelle diverse regioni linguistiche, quindi anche a sostenere l’italiano oltralpe”. Anche perché, come riportato proprio dal recente rapporto “La posizione dell’italiano in Svizzera”, commissionato dal Forum per l’italiano in Svizzera a un consorzio di ricerca composto dall’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (OLSI), dal Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI (SUPSI-DFA) e dall’Alta scuola pedagogica dei Grigioni (PHGR), la maggioranza delle e degli italofoni (ca. 53%) risiede al di fuori dal Canton Ticino e dal Grigionitaliano.
“Se teniamo conto di questa presenza su tutto il territorio svizzero – continua Crivelli – conoscere l’italiano può far sì che all’interno del Paese si possa cooperare promuovendo, davvero, una politica volta alla coesione nazionale. Conoscere la lingua delle diverse regioni svizzere è il primo passo per riuscire a comprendersi a vicenda. In questo senso, un servizio pubblico che aiuti a conoscere le tradizioni e le culture in Svizzera, e quindi promuova anche l’italiano fuori dalla Svizzera italiana, è fondamentale”.
E poi ci sono le cattedre di italianistica. Il convegno a San Gallo si chinerà proprio su come, concretamente, esse possano ritagliarsi un ruolo nella costruzione e promozione del plurilinguismo elvetico. “Studiare italiano fuori dalla Svizzera italiana e non in Italia è un’esperienza che permette di rapportarsi con quella diversità culturale che è costitutiva della Svizzera”, spiega la professoressa. “Inoltre, per chi vuole conoscere la letteratura e la linguistica italiane, le cattedre di italianistica nella Svizzera francese e tedesca mettono a disposizione ottime infrastrutture (penso alle nostre ricchissime biblioteche) e offrono continue occasioni di scambio e di apprendimento, con progetti di ricerca, convegni accademici, incontri pubblici. Non si tratta poi solo di studiare i testi classici, ma anche di chinarsi su temi contemporanei. Inoltre, studiare italianistica in contesti linguistici altri è arricchente per la stessa lingua italiana. Ricordo ad esempio che, quando arrivai a Zurigo, nei primi anni duemila, il contatto con il tedesco stava avendo un impatto cruciale in termini di genere. Mentre in Italia si usava ancora di norma il maschile generico e “inclusivo”, noi già avevamo adottato l’uso di riferirci al nostro pubblico usando formule differenziate, come studenti e studentesse, per influsso del modello del tedesco, dove si era iniziato a farlo da tempo. Questo è un bell’esempio di interazione culturale. Oggi più che mai c’è bisogno di comprensione tra le culture e la Svizzera è un laboratorio privilegiato per questo”.
Naturalmente – e anche se, come rileva il rapporto del Forum per l’Italiano in Svizzera, il 33% della popolazione in Svizzera dichiara di possedere una competenza parziale (lingua secondaria) dell’italiano a vari livelli – non tutti/e conoscono questa lingua; anzi, sempre più spesso si ricorre all’inglese come lingua franca. L’inglese come minaccia che toglie spazi all’italiano? Insomma, studiare inglese al posto dell’italiano? Per Tatiana Crivelli la questione non è da porre in questi termini ed è invece importante richiedere “se non una competenza piena o perfetta dell’italiano (così come delle altre lingue nazionali) per lo meno quel grado conoscenza che permette di capire l’altro/a quando lo/a si incontra.” In questo senso, ovvero se si vuole favorire l’apertura e l’interazione tra connazionali, l’inglese non può sostituirsi alla lingua di Dante. “Il pluringuismo è una ragione d’essere di questo Paese, la sua storia ma anche il suo futuro. Oggi l’inglese – conclude la professoressa – è certamente una lingua fondamentale di comunicazione in diversi contesti: ma l’inglese, bene o male, lo masticano ormai tutti/e. E invece: quanti altri paesi possono vantare la nostra pluralità linguistica? In Svizzera siamo davvero nella condizione di praticare e rendere vivo il plurilinguismo nella quotidianità. Tanto le cattedre di italianistica quanto il servizio pubblico mediatico possono lavorare per questo”.
Di Valeria Camia