Chiedilo a Google
Che tempo fa a Los Angeles oggi? È vero che si stanno sciogliendo i ghiacciai? Come si prepara il couscous? Quanto costa un caricabatterie portatile? Davanti a domande come queste – o anche più impegnative, magari a proposito di salute, politica o cronaca – sappiamo di avere un alleato onnisciente e sempre disponibile: internet. E questo, in quasi il 95% dei casi (così dicono le statistiche), si traduce in “lo cerco su Google”.
I motori di ricerca sono nati nella seconda metà degli anni ’90, come strumenti indispensabili per districarsi nell’oceano del web, che allora non era che una piccola frazione dell’immensità digitale di oggi. Negli anni seguenti la realtà ha superato ogni immaginazione: il web è cresciuto a dismisura, e i motori di ricerca, Google in testa, sono diventati raffinate applicazioni di intelligenza artificiale. Quel che non è cambiato è la loro indispensabilità: è difficile immaginare la rete senza queste porte magiche che ci permettono di trovare rapidamente le informazioni di cui abbiamo bisogno.
Come funzionano? Come fa Google a selezionare i 10 documenti migliori tra i miliardi del web? O a sapere quali articoli meglio presentano la notizia del giorno? In questo articolo vorrei esplorare il mondo dei motori di ricerca per offrire qualche spunto che ci permetta di utilizzarli al meglio, cioè con maggior consapevolezza.
Ne esistono altri?
Come ho avuto modo di dire, Google è il motore di ricerca più utilizzato nel mondo, grazie anche all’integrazione con i sistemi Android. Molte ricerche avvengono anche su YouTube (che è di Google) e sui social, che sono i nuovi portali di accesso all’informazione.
Esistono però anche altri motori di ricerca, come DuckDuckGo, pensato per proteggere la nostra privacy; Ecosia, che investe nella riforestazione; Bing, il motore di ricerca di Microsoft; e altri. Alcuni motori di ricerca, inoltre, sono egemoni in specifici contesti nazionali, come Yandex in Russia o Baidu in Cina. Ognuno di essi ha caratteristiche differenti, il che significa che se cerchiamo la stessa cosa su diversi motori, troveremo documenti diversi.
Già questo ci dice una cosa importante: il fatto che io trovi alcune informazioni su Google non significa che chiunque nel mondo possa averci facilmente accesso, né che siano “ovvie” perché “l’ho visto su internet”.
L’algoritmo
Immaginiamo di cercare la parola “siluro” su Google. Quali sono i fattori che determinano quale sia la pagina “migliore” in risposta a una mia ricerca, cioè la prima pagina che esce tra i risultati e sulla quale la maggior parte di noi cliccherà senza esitazioni?
L’algoritmo di Google Search considera oltre 200 fattori per selezionare e ordinare i documenti rilevanti in risposta a una ricerca. Alcuni di questi fattori riguardano i contenuti della pagina (ad es., quante volte compare la parola “siluro” nel titolo o nel testo, o quanto è lunga la pagina); altri riguardano la storia della pagina (quando è stata pubblicata, se viene aggiornata, ecc.). Altri fattori ancora riguardano il profilo dell’utente, perché ogni ricerca è personalizzata: se sono un appassionato di pesca, troverò pesci siluro; se sono appassionato di sommergibili, si parlerà di armamenti; Google tende poi a ripresentare pagine che l’utente ha già visitato, assumendo che corrispondano ai suoi interessi. Google ricorda inoltre tutte le ricerche che ha svolto, e mi consiglierà le pagine che sono state scelte da altri utenti che hanno cercato la parola “siluro”. Il sistema è molto più complesso in realtà (e in parte segreto), e include ad esempio anche la rimozione di siti indicati come spam.
Ciò che ha permesso a Google di sbaragliare la concorrenza degli altri motori di ricerca, insieme a un sistema automatico in grado di censire molto velocemente porzioni enormi del web e a prestazioni rapidissime, è stato l’algoritmo noto come Pagerank. Secondo questo algoritmo, ogni pagina ha un punteggio, che dipende dal numero di altre pagine che hanno link verso quella pagina. In pratica, una pagina ha un punteggio più alto se è più “citata”, cioè se è più popolare.
Implementando il Pagerank, Google ha compiuto una scelta di campo, allontanandosi dal mondo delle biblioteche: un bibliotecario esperto è in grado di valutare la qualità di un documento, considerando molteplici fattori e appoggiandosi alla propria esperienza; si tratta di un giudizio fallibile, certamente, ma orientato appunto alla qualità. Per addomesticare il web, Google invece ha scelto di non appoggiarsi a valutazioni umane (come faceva ad esempio Yahoo!), e ha deciso di considerare come criterio base non la qualità (che nessuna macchina può stabilire, dato che non può capire un testo) ma la popolarità.
La guerra dei SEO
Google, dunque utilizza un sistema complesso per selezionare e ordinare i documenti che ci offre in risposta alle nostre ricerche. Quando lo usiamo, ci aspettiamo che sia neutrale e, in qualche modo, equilibrato. E infatti lo è: i risultati cosiddetti “organici” di Google sono imparzialmente elaborati dall’algoritmo, senza alcun intervento umano.
È possibile pagare per uscire tra i primi risultati? È possibile, ma si diventa allora inserzionisti, e il sito apparirà come “annuncio” (o post sponsorizzato sui social), dunque fuori dalla ricerca organica.
Sono però i siti web a non essere “neutrali”. Gli esperti di Search Engine Optimization (SEO) sono professionisti assunti per migliorare il posizionamento sui motori di ricerca delle pagine che gestiscono. Si tratta di una professione che richiede costante aggiornamento, in un’eterna partita a guardie e ladri contro l’algoritmo. Gli strumenti sono i testi, il design delle pagine, la frequenza di aggiornamento, i link incrociati, ecc. Il risultato è che è più facile trovare come risultato di una ricerca un sito gestito da un buon SEO piuttosto che un sito con un buon contenuto. Questa è una delle sfide che anche i servizi di notizie, incluso il servizio pubblico, devono affrontare.
E noi che facciamo?
Quando facciamo una ricerca con Google interagiamo dunque con un sistema complesso e dinamico. E noi come ci comportiamo?
Le ricerche di mercato ci dicono che circa metà delle ricerche svolte su Google non portano ad alcun click: ci basta leggere le informazioni che Google stesso ci offre – ad esempio quando cerchiamo le previsioni del tempo o un tasso di cambio.
Quando invece cerchiamo informazioni più complesse, mediamente rimaniamo sulla pagina dei risultati della ricerca per un tempo tra i 6 e i 10 secondi e visitiamo 1 o 2 pagine, anche se Google ce ne offre un milione… Quali risultati scegliamo? Circa il 23% degli utenti clicca sul primo risultato, il 20% sul secondo, e 13%sul terzo. Gli altri vengono solo occasionalmente considerati, e solo il 25% degli utenti passano alla seconda pagina di risultati.
Per dirla in parola semplici, nella grande maggioranza dei casi facciamo affidamento alla selezione che Google opera per noi e prendiamo per buoni i risultati che ci propone. Tendiamo a premiare la velocità e la semplicità nel reperire l’informazione piuttosto che la qualità.
Consigli pratici
Possiamo migliorare il modo di usare i motori dii ricerca? Sicuramente il primo passo è conoscere come funzionano, esattamente come è più facile mantenere una dieta equilibrata se conosciamo gli alimenti che mangiamo.
Quando facciamo ricerche su temi complessi o delicati, possiamo anche prenderci un po’ di tempo per leggere i titoli e gli “snippet” di testo della pagina dei risultati, e magari porre attenzione al nome di dominio dei siti che ci vengono proposti: alcuni saranno blog, altri riviste, altri siti di notizie, altri ancora siti scientifici – sono elementi utili per scegliere! Possiamo anche porre attenzione alla piccola scritta “annuncio”, che ci permette di identificare le pubblicità a pagamento.
Possiamo poi provare a scorrere la pagina dei risultati fino in fondo e magari addirittura passare alla seconda pagina. Un esperimento che consiglio a tutti è provare a effettuare la medesima ricerca con diversi motori di ricerca (magari andandosi a leggere nel “chi siamo” come funziona) per provare a scoprire spazi informativi nuovi e a volte sorprendenti.
Luca Botturi, professore in media in comunicazione della SUPSI
Per approfondire (fonti dei dati citati)
https://blog.hubspot.com/insiders/inbound-marketing-stats
https://doi.org/10.1111/j.1083-6101.2007.00351.x
https://academic.oup.com/jcmc/article/12/3/801/4582975?login=true
https://doi.org/10.1111/j.1083-6101.2007.00351.x