Si apre con questo contributo la nuova rubrica “Esplorazioni digitali”, curata da Luca Botturi, professore in media in educazione della SUPSI, che con cadenza bimestrale ci condurrà a scoprire i meccanismi dell’informazione digitale, tra i rischi di manipolazioni e gli accorgimenti per evitarle.
I social network sono oggi uno dei principali canali di informazione. Le notizie non si diffondono più tramite le pagine dei quotidiani e i titoli di notiziari radio e telegiornali, ma viaggiano rapide attraverso post e reel su TikTok, Instagram, Facebook e simili.
I canali social hanno aperto una nuova era nel mondo dell’informazione: ci permettono di ricevere notizie da altri cittadini, da pari a pari, senza la mediazione delle redazioni e degli organi ufficiali. In questo senso i social incarnano la definizione di Web 2.0 proposta da Tim O’Reilly nei primi anni 2000: una piattaforma grazie alla quale chiunque può diventare autore (o giornalista!) e far sentire la propria voce.
Gli anni hanno dimostrato come questa visione aperta e democratica del web sia purtroppo semplicistica e irenica: ogni giorno i social vengono inondati da contenuti-spazzatura e la linea tra buone informazioni e fake news si trasforma in un confine pericoloso attorno al quale si combattono battaglie di informazione e disinformazione, come la pandemia e ora la guerra in Ucraina ci mostrano.
L’idea stessa che i social offrano uno spazio di informazione libero e senza filtri è sostanzialmente illusoria. Da un lato, chiunque può pubblicare sui social, che in teoria sono un luogo di informazione libero e tra pari; dall’altro, Instagram e compagni non sono un canale trasparente e in pratica, operano una selezione estrema dei contenuti, arrivando a decidere su base individuale quali informazioni leggeremo e quali invece non ci verranno nemmeno proposte.
Prima pagina personalizzata: notizie selezionate
Su Instagram vengono pubblicati circa 100 milioni di post al giorno, ma sulla nostra bacheca ne vediamo solamente qualche decina. Questi post vengono selezionati automaticamente da un algoritmo di intelligenza artificiale sulla base del nostro profilo, che considera la nostra lingua, dove ci troviamo, le nostre abitudini di lettura, le persone che seguiamo, i nostri interessi, ecc. Se i social sono la nostra fonte di informazione, è un po’ come se ognuno avesse una prima pagina individualizzata.
Il problema non è che avvenga una selezione, ma come viene effettuata. Anche i giornali stampati, che hanno a disposizione un dato numero di pagine, devono scegliere di cosa parlare, cioè quali fatti siano “notiziabili” per i loro lettori. Qualsiasi organo di informazione seleziona le notizie; ma in base a quali criteri, o meglio, con quali finalità?
Nel 2021 Meta, l’azienda che gestisce Facebook, Instagram e Whatsapp, ha avuto ricavi per 117 miliardi di dollari, una cifra paragonabile alla somma dei PIL di Lussemburgo e Croazia. Oltre il 90% di questi ricavi arriva dalla pubblicità. Il business dei social non dipende dalla qualità delle informazioni che offrono, ma da quanto tempo riescono a farci passare online per interagire con il loro sistema e con le inserzioni pubblicitarie. Per questo privilegiano contenuti brevi che generano molti click e interazioni. In questo senso una fake news che suscita indignazione funziona meglio di un articolo onesto, e una pruriginosa notizia di gossip meglio di un’analisi politica approfondita.
Certo, anche alcuni media tradizionali contano sulla pubblicità, ma non in maniera così preponderante. Se consideriamo questi aspetti possiamo apprezzare meglio il valore di un abbonamento e del finanziamento del servizio pubblico, che contribuiscono a garantire margini di libertà e professionalità a chi si occupa di informazione.
La bolla
Il secondo aspetto chiave è che questa selezione avviene su base individuale: solo io vedrò quella precisa selezione di post e contenuti, perché il mio profilo è unico. L’effetto principale di tale selezione accuratissima e personalizzata dei contenuti è la creazione della cosiddetta “bolla di filtraggio”. Gli algoritmi dei social (e non solo) fanno sì che nel mondo digitale ognuno di noi sia potenzialmente avvolto da un’invisibile bolla che ci permette di incontrare solo notizie allineate con il nostro profilo e che quindi tendono a replicare le nostre idee e a rafforzare i valori nei quali crediamo.
È una situazione sostanzialmente diversa dal mondo prima di internet, nel quale i quotidiani selezionavano sì le notizie, ma in maniera uguale per tutti; e secondo una linea predefinita, magari anche di parte, ma non nascosta tra le linee di codice di un algoritmo.
Tuttavia, dato che il tempo per informarci è poco e il mondo è sempre più complesso, il confortevole interno della bolla ci regala l’’impressione di vivere in un mondo sostanzialmente d’accordo con noi e ci convince che è vantaggioso, oltre che comodo, lasciarsi informare dai social invece che fare la fatica di nutrire proattivamente la nostra conoscenza del mondo.
Geografi dell’informazione
Dunque, l’era digitale ci destina a vivere confinati all’interno della nostra bolla informativa? Fortunatamente, come sempre, le tecnologie determinano delle condizioni, ma non ci impediscono di agire liberamente. Anche se è più comodo fare altrimenti, siamo liberi di cercare informazioni e notizie come e dove vogliamo. Quando lo facciamo, scopriamo che il web, liberato dalle dinamiche commerciali dei social, è un potente alleato.
Possiamo ad esempio privilegiare le fonti prime (il sito della NASA invece che il post di un amico sul telescopio Webb), o variare consapevolmente la dieta informativa combinando fonti sia commerciali sia pubbliche (un servizio RSI a confronto con un articolo della NZZ), o addirittura selezionando consapevolmente i profili che seguiamo sui social, contrastando così l’effetto degli algoritmi.
Invece che lasciarci informare pigramente, possiamo addentrarci nella jungla informativa con lo spirito dell’esploratore, e con pazienza scovare i percorsi che ci portano al tesoro; come un cartografo possiamo poi tracciarne la mappa, per noi e magari anche per gli altri, per costruire una geografia informativa che ci aiuti a comprendere e agire responsabilmente in un mondo complesso.
Luca Botturi, professore SUPSI in media in educazione