Un nuovo contributo di un professore dell’USI in esclusiva per il sito CORSI: Gabriele Balbi, professore associato in media studies presso l'Istituto di media e giornalismo (IMeG) presenta un manifesto pubblicato nel 2021, che auspica la realizzazione di un’internet di servizio pubblico.
Nel 2021, alcuni intellettual* e accademic* appoggiat* da vari organi politici hanno lanciato il Public service media and public service internet manifesto (disponibile in versione originale a questo link e ripreso e tradotto in italiano dalla rivista Democrazia futura nel suo numero di gennaio-marzo 2022, scaricabile a questo link).
Fin dal titolo, il manifesto si pone a favore del servizio pubblico e mette sullo stesso piano i media, intendendo in particolare la radiotelevisione, e internet, con specifico riferimento al World Wide Web che della rete è uno dei servizi. Il manifesto sostiene e propone alcuni principi basilari che si possono riassumere in quattro macro-aspetti: 1) le democrazie, incluse quelle digitali, necessitano di media di servizio pubblico; 2) le piattaforme internet di servizio pubblico devono/dovrebbero promuovere l’uguaglianza sociale, la sostenibilità, la diversità, il dibattito civico; 3) i contenuti dei media di servizio pubblico non si devono basare sullo sfruttamento dei dati degli utenti, ma essere a favore degli utenti; 4) occorre finanziare e sostenere i media di servizio pubblico estendendo un modello simile a quello del canone anche all’internet di servizio pubblico.
Come mai, nel dibattito di lunghissima data sui servizi pubblici, che risale almeno agli ’20 del Novecento, si sente l’esigenza di inserire anche la rete? In primo luogo, perché internet sta diventando un’infrastruttura centrale per la società contemporanea e una fonte di informazione cruciale per miliardi di cittadini nel mondo, spesso a discapito di media tradizionali quali la stampa e la radiotelevisione. Una ricerca del 2021 del Pew Center, per esempio, ha stabilito che oltre la metà degli americani si informava attraverso le piattaforme digitali e in rete, circa un terzo grazie alla televisione, il 7% radio e il 5% carta stampata. Pur nelle differenze sensibili tra vari paesi, la tendenza a informarsi attraverso le app di social media è in grande crescita in praticamente tutto il mondo. In secondo luogo, il dibattito su internet di servizio pubblico è esploso perché gran parte delle piattaforme digitali sono in mano a pochissimi investitori privati, perlopiù americani e cinesi, e questo comporta dei rischi per il dibattito democratico (le polemiche sul ruolo di Facebook nell’elezione di Trump nel 2016 sono state un momento spartiacque) e per gli utenti stessi, che spesso pagano i servizi gratuiti offerti da queste piattaforme con i propri dati. Infine, perché ancora oggi persistono delle forti differenze e dei veri e propri squilibri nell’accesso alla rete e nella possibilità di trarre dalla rete informazioni utili alla vita democratica e collettiva. Secondo Data Reportal, per esempio, nella primavera 2022 solo il 63% della popolazione mondiale accedeva alla rete e molti di questi avevano come unico portale di accesso i social media.
Un’internet di servizio pubblico potrebbe fornire alcune soluzioni ai problemi individuati. Per contrastare i pericoli dati da una fonte di informazione così cruciale tenuta nelle mani dei privati, si potrebbero creare piattaforme e spazi online alternativi a quelli delle corporation digitali. Il manifesto esclude una collaborazione con questi colossi e, ad esempio, sostiene che la “creazione di un canale di servizio pubblico su YouTube o Facebook rafforzerebbe la centralità culturale delle grandi imprese del digitale e non offrirebbe alternative alle loro procedure operative e ai loro modelli di business”. È certamente corretto, ma creare nuovi spazi sul web svincolati dalle piattaforme non è semplice e alcuni tentativi in proposito sono già falliti. Probabilmente è questa la sfida più difficile e affascinante da affrontare.
Un’internet di servizio pubblico potrebbe anche garantire indipendenza e imparzialità nelle informazioni, due delle qualità probabilmente più rilevanti dei servizi pubblici radiotelevisivi oggi. Contrariamente agli interessi economici che di fatto guidano l’azione delle corporation digitali oggi, un’internet di servizio pubblico agirebbe al servizio e non a discapito dei cittadini. I governi e i cittadini stessi potrebbero finanziare questo spazio alternativo, ma anche in questo caso la crescente diffidenza verso il canone in vari paesi europei getta un’ombra su questa possibile soluzione. Quali fonti alternative potrebbero finanziare un’internet di servizio pubblico? Forse il gettito dato dalle stesse tasse dei colossi digitali fin qui risibile in vari paesi?
Infine, il contrasto alle differenze e disuguaglianze nell’accesso è una delle missioni “classiche” del servizio pubblico che, anche nell’epoca pre-digitale, ha sempre promosso un accesso il più possibile universale ai propri programmi. La missione del servizio pubblico radiotelevisivo in questo senso potrebbe essere estesa alla rete internet, proponendo partnership pubbliche-private per estendere le infrastrutture della rete, promuovendo reti Wi-Fi pubbliche ed aperte, formando la propria cittadinanza non solo all’uso consapevole della rete ma anche a trarre dal Web le informazioni necessarie per promuovere valori quali la partecipazione democratica. Per riassumere, uguaglianza di accesso, inclusione e formazione all’uso potrebbero essere due obiettivi di un’internet di servizio pubblico.
La rete internet è un bene comune che è stata paragonata alla rete idrica, a quella elettrica o fognaria. Secondo alcuni, è un servizio di base, una public utility indispensabile per i cittadini nell’esercizio non solo dei propri diritti democratici, ma anche nell’espletamento delle funzioni più di base e comuni: spostarsi e navigare attraverso lo spazio (si pensi a GoogleMaps), accedere a servizi di ogni tipo come le poste, gli sportelli civici, gli ospedali o la didattica, addirittura proteggersi dalle pandemie (si pensi alle app, piuttosto fallimentari, durante il Covid). Se internet è come l’acqua occorre allora un dibattito serio su chi debba possedere questa fonte cruciale e il fatto che, al momento, sia perlopiù lasciata nelle mani dei privati contrasta con la sua rilevanza. Applicare un modello di servizio pubblico e coinvolgere gli attuali servizi pubblici radiotelevisivi e non solo (di sicuro, anche quelli di telecomunicazione o elettricità potrebbero svolgere un ruolo) in un ripensamento della rete pare una delle poche soluzioni per cambiare il futuro e dare una possibilità alle nostre democrazie, e in fondo alle società occidentali costruite con fatica negli ultimi secoli, di sopravvivere.
Gabriele Balbi, professore associato in media studies, USI Università della Svizzera italiana