È un dato di fatto: sempre più utenti si informano su temi legati alla salute mediante internet e le piattaforme digitali. Tutto questo solleva questioni legate ai rischi del “fai-da-te” informativo e sulla correttezza, validità e precisione dei contenuti pubblicati online da medici – ma anche dai media – come ricorda Nicholas Sacchi, psicologo e psicoterapeuta e dal 2020 presidente dell’Associazione Ticinese degli Psicologi (ATP).
Signor Sacchi, dal suo osservatorio, che relazione si va delineando tra le nuove piattaforme di socializzazione e la promozione della salute?
Nella popolazione in generale, e ancor più nei giovani, il social network assume le proporzioni di una presenza che oserei definite quasi fisica, un’entità reale da cui si traggono informazione, nozioni, incontri, scontri, esperienze. La piazza virtuale per la sua immediatezza si impone all’attenzione dei bambini e degli adolescenti (ma anche agli anziani) per la capacità di soddisfazione immediata dei bisogni e – direi purtroppo – anche per l’ipersemplificazione di concetti e prescrizioni. Quindi, colui o colei che intende informare, mediante internet e i social media, circa la salute e il benessere fisico deve prefiggersi di farlo con contenuti mirati e professionalità. Consapevole di questo, anche l’Associazione Ticinese degli Psicologi, da qualche anno, ha aperto una propria posizione su Facebook e su YouTube per diffondere materiale informativo che spesso ci perviene da associazioni ed enti che lavorano nell’ambito della salute psicofisica. Erogare contenuti su queste piattaforme, creandone dei propri o promuovendo quelli proposti da altri, ci permette di suggerire agli utenti organi di informazione nuovi, aggiornati e “di qualità”. In questo modo è possibile ampliare le possibilità di fruizione della rete, traendo beneficio da consigli ed esperienze, senza fossilizzarsi sempre sullo stesso flusso informativo.
Come si può parlare di salute online, raggiungendo un pubblico potenzialmente immenso ma senza banalizzare tematiche difficili e la cui trattazione richiede spesso competenze specifiche?
L’esperienza ci insegna che i curanti, siano essi medici o psicologi, hanno difficoltà a sviluppare i propri concetti direttamente con gli utenti su piattaforme divulgative perché si rischia che tutto sia recepito da chi legge senza le dovute contestualizzazioni. Penso alle volte in cui un caso specifico, citato per spiegare un concetto, viene preso alla lettera, quasi come fosse una prescrizione o un consiglio professionale, da chi legge. In quanto curanti è giusto riservare lo spazio alle consultazioni in altri luoghi, fisici o virtuali, che garantiscano privacy e professionalità. Per quanto riguarda la divulgazione di una cultura di benessere è importante focalizzarsi su delle basilari regole di comunicazione. E questo invito lo rivolgo anche ai media che si occupano di questioni mediche e di salute. Si deve avere la dovuta accortezza a essere chiari, precisi ma comunque generali, ovvero capaci di trattare tematiche che sono di interesse per il pubblico nel suo insieme e senza la presunzione di possedere una risposta chiave alla risoluzione del problema dibattuto.
Non si incorre nel rischio di sostenere, in qualche modo e anche se involontariamente, il “fai da te”? l’utente potrebbe scegliere di fermarsi a leggere o ascoltare video che trova online…
È piuttosto frequente che gli utenti di internet abbiano già delle informazioni pregresse circa una malattia o un disturbo e con esse anche taluni preconcetti sviluppati nell’esperienza personale. Credo che la chiave per evitare il “fai-da-te” sia il fornire informazioni corrette ma generiche. Essere generici, per gli esperti che comunicano sul web, significa non toccare il caso singolo. Bisogna insomma concentrarsi sulle aspettative dei pazienti che si trovano confrontati con la malattia e il disturbo, affrontare le possibili prognosi e le ricadute sulla vita quotidiana senza entrare nei dettagli. L’informazione data tramite internet deve servire per orientare l’utente sul proprio percorso di cura, senza però la pretesa di occupare lo spazio terapeutico reale con il proprio curante. Soprattutto quando alcuni concetti o paradigmi terapeutici necessitano di una conoscenza della materia assai complessa, noi, specialisti e curanti che comunichiamo sul web, dovremmo essere cauti a portare troppe informazioni, poiché rischiamo di incappare in un grossolano errore di sovraesposizione alla materia. Detto diversamente, anche (e soprattutto) sul web dobbiamo evitare di dare troppe informazioni, visto e considerato anche il fatto che spesso le prognosi sono mutevoli e risentono di fattori che, solo in divenire, diventano di primaria importanza.
Abbiamo parlato sino ad ora di informazione online in materia di salute. Lei crede che il web e i media siano anche chiamati a promuovere una cultura della prevenzione?
Dal momento in cui la rete si è fatta enciclopedica non si è più potuto fare a meno di rivolgerci a lei con ostinato ottimismo. Quanto trovato in rete è divenuto presto ‘pop', un’erudizione facilmente accessibile, troppe volte mescolata di mero nozionismo ma al punto da farsi inconfutabile. Ovviamente una vastità di informazione così ampia, così poco referenziata in certi canali e purtroppo così poco moderata, non garantisce lo sviluppo di una critica sana. Vengono infatti troppe volte portate sullo stesso livello teorie che a livello scientifico e accademico non avrebbero mai potuto essere accostate; il loro libero fluire sulla rete in genere provoca un effetto di annullamento della profondità che discrimina le credenziali scientifiche di una e dell’altra teoria (e la loro accettabilità). Una digitalizzazione sana, invece, permette una diffusione della cultura della prevenzione e del benessere quando illustra chiaramente i concetti chiave delle teorie scientifiche che si propongono l’obbiettivo di una maggiore consapevolezza della salute. Per far questo, a mio avviso, è indispensabile che anche sul web sia ben precisato come si è arrivati alle presenti conoscenze e indicazioni mediche, così come su quali conoscenze pregresse esse si basano. Diversamente, il rischio è che tutto venga continuamente rimesso in discussione e non sia possibile prevenire malattie o disagi le cui cause (e anche cure) sono note. Sempre in tema di prevenzione, sono molto affascinato anche da come in tanti fanno affidamento a un “auto-monitoraggio” di alcuni parametri fisiologici. Penso ai vari smartwatch che portiamo al polso, ad esempio, e che ci aiutano a migliorare la percezione di quanto stiamo davvero prendendoci cura della nostra salute, ma anche di quanto quest’ultima non ci sia data senza sforzi e non vada data quindi per scontata.
Non tutti si informano solo via internet. Secondo lei, il tema della salute è sufficientemente e adeguatamente trattato dai canali tradizionali (radio e TV) del servizio pubblico?
Credo che vi sia stato un grosso sforzo negli ultimi anni, complice il clima pandemico, per mettere il nostro benessere al centro dell’attenzione attraverso i media più classici: tv e radio in testa. Dal mio punto di vista, quello psicologico, credo che ancora molti passi debbano essere fatti per considerare la mente come un organo. Nonostante sia aleatoria, ovvero residente chissà dove, forse nel cervello, forse nel cuore, certamente è parte dell’individuo e pertanto necessita di egual prevenzione quanto il cuore, il fegato e i polmoni solo per citare alcuni degli organi fondamentali. La nostra mente è l’organo di contatto con il mondo più usato del corpo, poiché si affaccia sul reale brutalmente, sintetizzandolo attraverso i sensi e comprendendolo attraverso la ragione, modellandolo attraverso i sentimenti, digerendolo attraverso la lingua parlata e quella dei sogni…Prendiamocene cura, non fa poco!
Di Valeria Camia