La trasmissione Storie inaugura una nuova formula, per portare sullo schermo le piccole grandi vicende di persone e luoghi del nostro territorio. Una sempre maggiore vicinanza ai soggetti dei documentari, che rappresenta la cifra stilistica caratteristica delle produzioni RSI. Ce ne parla il produttore Michael Beltrami.
La puntata di Storie di domenica 13 febbraio ha presentato due brevi documentari realizzati a partire da vicende segnalate dal pubblico (“Fino all’ultima caccia” e “L’amazzonia di Alex”). Come è nata questa idea e perché?
“Riceviamo spesso spunti e idee che partono dal vissuto di telespettatori che guardandoci si appassionano all’idea del “racconto di vita”. Molte vicende però appartengono al passato e sono difficili da mettere in scena. Ma quando – come nel caso dei racconti di domenica 13 febbraio (o anche di altri attualmente in produzione) – esiste la possibilità di creare documentari brevi attorno a questi spunti, cogliamo con piacere l’invito. Per esempio, il documentario “L’ultima caccia” è nato da una lettera della figlia dei due protagonisti.
L’idea di costruire delle puntate sul tema delle lettere è invece nata di pari passo con il coinvolgimento dello psichiatra e psicoterapeuta Graziano Martignoni, autore del recente libro “Quando la domenica imbruniva – Lettere dalla quotidianità”, nonché ospite della puntata. Per interpretare e analizzare questi spaccati del quotidiano in cui possiamo riconoscerci anche noi, serve infatti un interlocutore capace ed esperto.
Noi di Storie siamo sempre a caccia di nuovi spunti e se troviamo persone disponibili e coinvolte si riesce a realizzare qualcosa di buono a partire dai vissuti personali”.
Questa formula sarà riproposta altre volte?
“Sì, faremo altre tre o quattro puntate nell’arco di una stagione, quando possibile. La difficoltà maggiore di questa formula è trovare un filo conduttore fra le storie, per unirle in una puntata. Ma sfrutteremo i documentari brevi anche per altri temi: per esempio proporremo una puntata con due cortometraggi sulla vita in due paesi molto piccoli e isolati: Rasa nelle Centovalli e Monteviasco, un villaggio appena oltre confine, vicino a Luino.
Un’altra puntata invece sarà incentrata sui luoghi energetici della Svizzera italiana, con due autori di documentari che interpretano questi luoghi attraverso una loro personale visione, sempre con l’intenzione di coinvolgere il pubblico in una sorta di ricerca sulle particolarità del territorio che ci circonda. I documentari classici della durata di 52 minuti restano comunque il piatto forte della trasmissione”.
I documentari più brevi intendono rispondere alle nuove abitudini del pubblico, sempre più confrontato con ritmi veloci e video social di pochi minuti?
“È una discussione che si fa spesso. In realtà io credo molto nella forza delle storie. Quando si vuole raccontare una storia, che è il nome della nostra trasmissione, lo sviluppo richiede un certo tempo e un certo approfondimento. E il pubblico lo riconosce. Lo dimostrano esperienze come “Arzo 1943”, documentario di Ruben Rossello della durata di oltre 70 minuti dedicato alla vicenda del respingimento di Liliana Segre alla frontiera svizzera, che ha avuto grande successo”.
Quale il rapporto di Storie con il suo pubblico?
“È un rapporto molto schietto, c’è uno zoccolo duro di spettatori fedeli che ci seguono ogni domenica a prescindere dal tema della puntata e poi c’è il pubblico più selettivo, che si fa catturare dalla singola proposta. È un po’ come scegliere un film al cinema: ognuno segue le sue preferenze e i suoi gusti. Per questo abbiamo una documentaristica piuttosto eterogenea, pur cercando di mantenere un’impostazione legata al genere narrativo. Si raccontano delle vicende umane a volte in modo locale e minimalista, con racconti spontanei, a volte affrontando tematiche esistenziali, storiche, o ispirate da fatti di cronaca. E il pubblico ci scrive, reagisce, si complimenta, critica, resta colpito a volte da alcune scelte. È un pubblico molto sensibile”.
È cambiato negli anni (è cioè aumentato il dialogo/scambio, anche grazie alle nuove modalità di comunicazione)?
“La comunicazione con il nostro pubblico è rimasta stabile negli anni e si esprime attraverso le mail che riceviamo, a volte anche le lettere cartacee o telefonate. Spesso le persone sentono il bisogno di raccontare la propria esperienza ispirate da ciò che hanno visto la sera prima. Non abbiamo una pagina Facebook dedicata. C’è anche un pubblico affezionato alla conduttrice Rachele Bianchi-Porro, che le scrive per complimentarsi per come ha affrontato una particolare intervista o il dialogo con un ospite. Oppure anche semplicemente per com’era vestita o perché ha saputo cogliere un aspetto che ha particolarmente coinvolto gli spettatori”.
Storie è una trasmissione longeva e sempre amata, qual è la formula del suo successo?
“Credo che siano semplicemente le vicende che riusciamo a raccontare di volta in volta utilizzando ingredienti consolidati come una buona drammaturgia e la vicinanza alle persone protagoniste dei nostri documentari. È una cosa che non si improvvisa e che richiede tempo, cura, esperienza, tatto, sensibilità. Abbiamo un modo diverso di interpretare il genere documentario rispetto a quello che di solito la TV produce e che gli è più consono come linguaggio, cioè il reportage dal taglio giornalistico, (cosa che altre trasmissioni RSI fanno benissimo).
Ci siamo profilati con un approccio diverso, che si avvicina ai “racconti del reale”: una certa attenzione alle componenti che rendono coinvolgente una storia, un linguaggio funzionale al racconto, che non cerca la notizia, ma come un film a soggetto mostra delle realtà di vita nelle quali lo spettatore si può identificare. Il pubblico credo se ne sia accorto e apprezzi questa impostazione”.
Come sono cambiati (se sono cambiati) negli anni temi e soggetti dei documentari?
“Negli ultimi anni c’è stata una virata verso le storie della gente, intese proprio come racconti di vita, vicende a volte straordinarie, a volte quotidiane, ma con una valenza universale. È cambiato il modo di costruire i documentari: le nuove tecnologie (apparecchiature più piccole e leggere) hanno permesso di approcciare le storie in “presa diretta”. Si è così abbandonata la “costruzione” della vicenda a favore di una maggiore naturalezza che permette di immergersi nelle vite delle persone mentre si svolgono. Questo approccio apre anche alle vicende umane non per forza raccontate attraverso la parola, (le interviste), ma tramite vere e proprie scene, come in un film”.
Questo tipo di trasmissione e di produzione è fattibile solo con i mezzi del servizio pubblico
“Sì, ma è anche una caratteristica della documentaristica RSI sviluppata negli anni. Se ci confrontiamo con altre realtà simili (televisioni di servizi pubblici di altri paesi) vediamo comunque questa differenza. Recentemente abbiamo avuto occasione di confrontarci con altre produzioni documentaristiche di emittenti televisive europee grazie al Prix Europa e siamo stati molto apprezzati perché riusciamo a realizzare i documentari internamente. Gli altri di solito esternalizzano questo tipo di produzioni. Devo però aggiungere che Storie collabora molto anche con i registi indipendenti del territorio e molti di loro sono cresciuti professionalmente proprio mantenendo una certa continuità lavorativa garantita dal nostro programma. Un’opportunità, quella di Storie, che è stata spesso presa come modello nell’ambito delle collaborazioni tra la televisione e i professionisti del cinema e dell’audiovisivo ”.
Nel suo monitoraggio del 2020, il Consiglio del pubblico auspicava che fosse dato maggiore spazio agli ospiti in studio, che spesso sono personaggi di rilievo. È stato dato seguito a questo suggerimento?
“Il tempo a disposizione è sempre lo stesso, ma sicuramente lo spazio dato agli ospiti si manifesta attraverso una maggiore concentrazione sui temi e sulle riflessioni scaturite dalla visione del documentario. Ultimamente abbiamo allargato la presenza degli ospiti a due per puntata, per creare uno scambio ancora più ampio in cui sguardi diversi possono creare una conversazione attorno al tema, più che una classica intervista botta e risposta.
Ma anche quando l’ospite è uno solo, la stretta relazione con ciò che si è visto sullo schermo porta ad approfondimenti che ampliano le prospettive. Un bell’esempio è stata appunto la recente puntata con Graziano Martignoni”.
Un altro appunto del Consiglio del pubblico riguardava la scenografia, giudicata un po’eccessiva e poco sobria.
“Sì, gli anni scorsi le puntate si svolgevano sempre in studio. Quella scenografia ha fatto il suo tempo. Ora invece siamo un po’ più itineranti, anche se sfruttiamo in prevalenza gli spazi del Lux di Massagno, che ci sembrano adeguati anche grazie alla consonanza con la vocazione di quel cinema”.
Uno sguardo al futuro: qualche novità in arrivo?
“Ogni storia è diversa e già di per sé rappresenta di volta in volta una novità. Quello che cerchiamo di fare è valorizzare le peculiarità di ognuno dei nostri registi, che raccontano le storie attraverso modalità e linguaggi diversi. Il futuro è rappresentato da una narrazione che contenga tutti quegli elementi che rendono coinvolgente una storia. Va vista in questo senso anche la maggiore elasticità della durata dei documentari. Visto il successo di esperienze come la diffusione del documentario “Arzo 1943” in occasione del Giorno della Memoria, vorremmo avere maggiore attenzione nei confronti di anniversari e ricorrenze, anche se non è semplice perché i documentari vanno pianificati con larghissimo anticipo”.
Giorgia Reclari Giampà, segretariato CORSI