La cultura è un ambito fondamentale per il servizio pubblico radiotelevisivo. Tutti concordano con questa affermazione. Ma quando si comincia a discutere su “quale cultura” veicolare e “come” vada mediata e diffusa nei confronti del pubblico le opinioni divergono. Lo dimostra il vivace dibattito scaturito martedì 31 maggio negli Studi Radio di Lugano Besso, in occasione della serata pubblica organizzata dalla CORSI, che ha messo a confronto rappresentanti del Consiglio del pubblico CORSI, e della RSI. La discussione ha preso il via dalla presentazione del rapporto “Cultura e servizio pubblico dei media – Le riflessioni del Consiglio del pubblico”, un’analisi trasversale dell’offerta culturale della RSI svolta da un gruppo di lavoro del CP capitanato da Yvonne Pesenti Salazar. Lo studio – ha spiegato la coordinatrice – è stato avviato nell’estate 2020 partendo da due presupposti. “C’era un’impressione diffusa che la RSI stesse iniziando a proporre contenuti culturali attraverso modalità proprie dell’intrattenimento, che a forza di alleggerire i contenuti li stravolgono. Parliamo di trasmissioni come Turné Soirée o Notte al Museo”. Nel frattempo si è anche scatenato il dibattito sull’ipotesi di ridimensionamento di Rete Due. Molte persone del mondo culturale della Svizzera italiana hanno preso posizione in difesa del canale radio. Il Consiglio del pubblico ha quindi deciso di compiere una riflessione ampia sullo spazio da attribuire alla cultura in un’azienda di servizio pubblico, formulando alcuni auspici. Per farlo ha coinvolto anche alcuni operatori culturali attivi nella Svizzera italiana. Tre le conclusioni principali: per le emittenti di servizio pubblico la cultura (come l’informazione) è una pietra angolare, perché è un fattore identitario e la mediazione culturale in un paese federalista contribuisce alla creazione di identità e alla coesione nazionale; poi c’è la questione dell’intrattenimento: il fatto che la cultura sia noiosa e vada alleggerita perché la gente possa fruirne è un pregiudizio; infine è stata sottolineata l’importanza delle trasmissioni di approfondimento, in particolare quelle sul lineare (radio e tv) che permettono di comprendere problematiche difficili, e orientarsi nei temi sempre più complessi della nostra società.
“Saluto positivamente lo spirito con cui il CP ha intrapreso questo compito, il rapporto individua degli elementi chiave, ma lo trovo per alcuni aspetti ingeneroso e alcuni punti sono discutibili” ha replicato il direttore RSI Mario Timbal. Si è soffermato in particolare sulla contrapposizione fra lineare e digitale: nel suo rapporto il CP ha scritto che il trasferimento sull’online priva l’utenza della scoperta, del confronto con ciò che ancora non conosce. Il rischio è quello di raggiungere unicamente gli addetti ai lavori e/o chi già è appassionato dell’una o dell’altra forma artistica, contribuendo a creare delle “bolle culturali”. “Non vedo questa opposizione tra lineare e digitale – ha replicato Timbal – Perché la scoperta della cultura dovrebbe essere appannaggio del lineare? Questa posizione non tiene conto delle nuove abitudini del pubblico, che sta abbandonando il lineare”. Timbal ha quindi citato la trasmissione Cliché, andata in onda da giovedì 26 maggio in seconda serata su LA1, come esempio di contenuto lineare che integra linguaggi e ritmi del digitale.
Il rapporto del Consiglio del pubblico si è basato sul periodo 2020-2021, prima dell’entrata in carica di Timbal, ma anche del nuovo responsabile del settore Cultura RSI Vanni Bianconi, che in occasione del dibattito ha elencato tutti i nuovi progetti relativi all’offerta culturale già concretizzati in questi mesi o in fase di elaborazione: il nuovo palinsesto di Rete Due previsto da settembre, più attento al territorio e dinamico; due serate speciali in tv, una sul centenario di Pasolini e l’altra sull’anniversario di Chernobyl, il nuovo programma tv di medicina, un programma sulle meraviglie architettoniche del territorio ancora in produzione, uno speciale sul Festival di Locarno, Cliché e altro ancora.
La contrapposizione tra lineare e digitale, o meglio le caratteristiche che devono avere i contenuti culturali per essere veicolati sul web, è stata al centro anche del dibattito con il pubblico. Un docente di musica al liceo ha fatto appello al compito educativo del servizio pubblico anche in ambito culturale e ha sottolineato come le “pillole” tematiche che si trovano sul web (per esempio brevi video pensati per i social) non siano adatte per tutti i tipi di cultura: non favoriscono lo sviluppo del senso critico, che passa attraverso uno sforzo di comprensione e approfondimento, incompatibile con i ritmi e l’immediatezza dei mezzi di comunicazione web e social.
Alla base di queste posizioni c’è un fraintendimento – ha replicato Chiara Fanetti, responsabile del format Cult+, il magazine culturale online della RSI. “Lo scopo di questi prodotti non è sostituirsi a Rete Due: digitale non vuol dire breve, abbiamo dei long form culturali che hanno successo. Anche su Youtube ci sono formati di una certa lunghezza e qualità, Instagram invece richiede contenuti di pochi secondi. Le pillole non sostituiscono i canali radio e tv, ma permettono al servizio pubblico di raggiungere persone che magari non guarderebbero contenuti culturali”.
Giorgia Reclari Giampà, segretariato CORSI