In occasione dell'evento in programma lunedì 14 dicembre, che vedrà protagonisti la professoressa dell'USI Monica Landoni e Il produttore e conduttore di "Patti chiari" Lorenzo Mammone, riproponiamo l'intervista a Nicola Agostinetti, giornalista di Patti chiari autore del servizio sulle fake news "Professione bufalaro", che ha fatto emergere aspetti sorprendenti sul tema.
Come mai avete deciso di realizzare la puntata sulle fake news?
“Avevamo già realizzato una puntata sulle fake news legate all’epidemia di coronavirus la scorsa primavera. Visto che era andata bene – e che il tema è sempre attuale – abbiamo deciso di tornare sull’argomento, ma affrontandolo da un punto di vista più generale. In effetti è un’operazione singolare per noi, che di solito partiamo da casi concreti o da segnalazioni di ascoltatori. È comunque un argomento che riguarda tutti, in quanto consumatori di informazione”.
Per capire come nasce e si diffonde una bufala, ne avete creata una voi (un annuncio di lavoro di una catena di supermercati italiani, inventata, per assumere fattorini che portano la spesa in Svizzera). La notizia ha avuto grande visibilità, anche grazie alla condivisione da parte di un politico ticinese. Ve lo aspettavate?
“La notizia è andata molto oltre le nostre aspettative. Io all’inizio ero scettico sulla possibilità di successo dell’operazione. Viviamo in un territorio piccolo, dove i social non hanno una diffusione così totale, nemmeno fra i politici. I contatti umani contano ancora ed è più difficile far circolare notizie false senza essere smentiti. Comunque ci speravamo. Abbiamo aspettato il giorno dopo la votazione sulla libera circolazione per pubblicarla, quando il tema dei rapporti con l’Italia era ancora caldo. Come detto, non avevo grandi aspettative, invece - come tutte le bufale - è andata a toccare un nervo scoperto ed è stata condivisa e commentata. Quando sembrava che si fosse ormai esaurita è stata condivisa da un politico e pubblicata su un domenicale: questo l’ha rilanciata tantissimo. In realtà, per smentirla sarebbe bastato cercare il nome della catena di supermercati in internet: non esiste”.
Il servizio pubblico ha ancora gli strumenti per smascherare le bufale (in termini di tempo, risorse, mezzi) oppure il modo di lavorare dei media oggi (caratterizzato dalla fretta dovuta ai ritmi dell’online e spesso anche dalla riduzione del personale) rende più difficile per tutti verificare le notizie?
“Sulla base di questo esperimento mi sono reso conto che gli strumenti li abbiamo tutti, non solo i giornalisti. Spesso basta fare una brevissima ricerca per accorgersi. Nel nostro caso era il nome del supermercato, che non esiste. Certo, questo non deve essere un alibi per noi giornalisti. E il servizio pubblico in particolare deve rimanere una roccaforte di credibilità, per salvaguardare la propria immagine. Purtroppo le fake news non circolano solo sui social, ma anche sulla stampa tradizionale e spesso non c’è tempo di verificare, oppure non lo si fa perché è più facile (e redditizio) cavalcare una bufala piuttosto che smentirla. Pensiamo alla notizia diffusa qualche giorno fa in Italia secondo cui la Svizzera nega la rianimazione agli anziani malati di Covid-19. Chi l’ha scritta aveva letto i documenti, ma l’ha pubblicata comunque, con un titolo sensazionalistico ma falso. In mezzo a tutto questo caos il servizio pubblico deve restare un’ancora, una garanzia di credibilità”.
Il lavoro di verifica e approfondimento è quindi ormai appannaggio solo delle pubblicazioni o delle trasmissioni di approfondimento come Patti chiari oppure si può fare anche in cronaca?
“L’approfondimento è fondamentale, ma per farlo servono molti mezzi e il servizio pubblico ne ha indubbiamente più di altri media. Anche per questo il servizio pubblico può e deve distinguersi dal giornalismo mordi e fuggi: abbiamo ancora la possibilità di fare un altro tipo di lavoro, non dobbiamo rincorrere le notizie”.
Durante la puntata di Patti chiari, gli ospiti in studio hanno sottolineato l’importanza dell’educazione (dei giovani ma non solo) per combattere la diffusione delle fake news. La CORSI propone dall’anno scorso il progetto “Sarà vero”, con lezioni interattive nelle scuole. Che cosa ne pensi?
“Sempre più media si affidano a fact checker, debunker, cacciatori di fake news, ecc. Ma loro non possiedono un manuale segreto dello smascheratore di bufale. Dobbiamo essere noi lettori i primi a chiederci se una notizia è vera. La mancanza di tempo per verificare è un alibi, va coltivato un sano spirito critico. Quindi giustamente bisogna puntare sull’educazione”.
Nella tua esperienza giornalistica ti sei già confrontato con delle fake news? Come hai reagito?
“Ho lavorato per parecchi anni come corrispondente della RSI da Roma. Spesso cercavo storie e spunti sui media italiani per realizzare i miei servizi. Quindi, quando trovavo una notizia sui media, poi la verificavo per confezionare il mio pezzo. Così mi sono reso conto che molte erano bufale. Mi ricordo in particolare la storia di un presunto anziano “custode” di un villaggio isolato sull’Appennino abruzzese. I media raccontavano che era l’ultimo abitante rimasto nel paese colpito da un terremoto e che non voleva trasferirsi, nonostante gli avessero offerto valide alternative. Quando ho cercato quel paese sulla mappa, ho visto che in realtà era composto da quattro case, che distavano 100 m al massimo da un centro abitato vicino, grande e con tutti i servizi. Altro che villaggio isolato! In Svizzera è più difficile che si diffondano notizie di questo genere perché il territorio è più piccolo, i rapporti personali contano ancora. Non siamo però al riparo dalle bufale “internazionali”, per esempio quelle sul coronavirus, più difficili da verificare”.
di Giorgia Reclari Giampà, segretariato CORSI