Vi presentiamo la quarta puntata delle Esplorazioni digitali del professore Luca Botturi della SUPSI.
Come cerchiamo?
Ogni volta che ci serve un’informazione scriviamo qualcosa su Google oppure formuliamo una domanda per Siri, Alexa o qualche altro assistente vocale. Se troviamo quel che ci serve, bene; altrimenti riproviamo, ci scocciamo e magari lasciamo perdere. Raramente però ci fermiamo a riflettere su come cerchiamo e su quanto efficace ed efficiente sia il nostro modo di procedere. Anzi, diversi studi mostrano come le persone, terminata una ricerca online, abbiano difficoltà a ricostruire e raccontare quello che hanno fatto.
Se ci osservassimo, ci accorgeremmo che nella maggior parte dei casi adottiamo modalità di ricerca piuttosto superficiali, affidandoci in maniera determinante agli algoritmi dei motori di ricerca. Noteremmo anche probabilmente che in alcuni casi cambiamo il nostro approccio in funzione dei bisogni e della situazione. Ma soprattutto, se ci prendessimo il tempo di osservarci “da fuori” mentre cerchiamo informazioni in rete, potremmo pian piano imparare dai nostri successi e dai nostri errori per migliorare le nostre competenze. Diventeremmo, insomma, navigatori digitali più capaci e consapevoli.
Stili di ricerca
Nel gennaio 2020, grazie a un finanziamento del Fondo Nazionale di Ricerca Svizzero, con un gruppo di ricercatori del Dipartimento formazione e apprendimento e del Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI e dell’Alta Scuola Pedagogica di Svitto, ho avviato il progetto LOIS (Late-teenagers Online Information Search). In questo progetto abbiamo sviluppato un sistema innovativo per studiare come i giovani cercano informazioni online. I partecipanti allo studio hanno svolto 4 compiti di ricerca e il sistema ha tracciato i loro click, permettendo così di ricostruire, anche visivamente, le loro “storie di ricerca”.
Analizzando queste “storie”, sono emersi diversi stili di ricerca. Vorrei presentarne alcuni, perché conoscerli ci aiuta a diventare più consapevoli di come ci comportiamo online.
Minimo. La maggior parte delle persone ha un comportamento di ricerca “minimo”. A prescindere dal tema della ricerca, scrive una sola parola-chiave (in gergo, una query) e svolge un’unica ricerca, cliccando poi su uno dei primi tre risultati forniti da Google.
Orientamento. Mentre molti cliccano “al volo” su uno dei primi risultati di Google, alcuni passano molto tempo a leggere la pagina dei risultati, magari anche passando alla seconda schermata, per farsi un’idea sommaria ma ampia di “cosa c’è in giro”, e anche per verificare se le parole-chiave usate portano effettivamente al tema che stanno cercando.
Controllo. Alcune persone al contrario si fermano per un tempo piuttosto lungo sulla pagina dei risultati di Google non all’inizio, ma alla fine della ricerca. Hanno trovato dei siti interessanti, e, prima di concludere fanno un’ultima ricerca per controllare che non gli sia sfuggito qualcosa di importante.
Cerca, salva, rivedi. Altre persone invece fanno due o tre ricerche, magari cambiano o variando le parole-chiave, guardano brevemente i siti web che trovano e mettono “da parte” (in un tab o nei preferiti) quelli che sembrano migliori; quando sono soddisfatti, smettono di cercare e tornano a visitare le pagine che hanno selezionato con più calma per una lettura più approfondita.
Una query, tante query. Uno dei tratti più variabili negli stili di ricerca è sicuramente l’uso delle query. Molti, come abbiamo osservato, svolgo un’unica ricerca. Altri invece fanno molte ricerche, ma utilizzando sempre la medesima query e selezionando ogni volta un risultato diverso. Altri ancora elaborano progressivamente la query, passando ad esempio da “vacanze” a “vacanze al mare”, e poi a “vacanze in Puglia”, ecc. Altri ancora, infine, introducono nuovi termini nella ricerca man mano che approfondiscono il tema di ricerca. Per riprendere l’esempio appena fatto, potrebbero utilizzare le parole “trullo” o “falesia” o “Gargano”.
Navigazione. La maggior parte delle persone cerca su Google e poi clicca su un risultato che lo porta su una pagina di un sito web; quasi nessuno però, fa un secondo click dentro il sito web che ha raggiunto. In generale, ci allontaniamo solo di un click da Google, e raramente navighiamo dentro i siti che incontriamo, per indipendentemente da quanto siano ricchi e articolati.
Qual è il “modo giusto”?
Gli stili che abbiamo identificato nel progetto LOIS sono molti, molto variati e si combinano tra di loro. Una delle evidenze emerse è che non esiste un “modo giusto” di cercare informazioni online. Persone esperte di un tema trovano risultati eccellenti con poche ricerche, mentre persone che svolgono ricerche molto complesse a volte si perdono nelle troppe informazioni che trovano.
Il punto è che ognuno diventi consapevole del proprio stile di ricerca e sia capace di adattarlo alla situazione. Questo significa per esempio considerare la complessità del tema (cecare il risultato di una partita è diverso da informarsi sulla situazione geopolitica internazionale), le proprie conoscenze iniziali, il tempo a disposizione, ecc.
Una cosa però emerge altrettanto chiaramente dall’analisi delle storie di ricerca: i partecipanti che svolgono più ricerche e progressivamente modificano le proprie query, imparando mentre cercano, trovano risultati migliori.
Scegliere e verificare le fonti
Nel progetto LOIS abbiamo invitato anche dei “cercatori esperti” (giornalisti, ricercatori e bibliotecari) a svolgere dei compiti di ricerca online. Il loro stile di navigazione non si discosta molto da quello degli altri partecipanti, a parte il fatto che non fanno mai ricerche “minime” con una sola query e un solo risultato. Una cosa però li distingue chiaramente: selezionano accuratamente i siti che visitano – anzi, in alcuni casi non cercano nemmeno su Google, ma vanno direttamente su un sito che considerano attendibile (ad esempio, il sito del Dipartimento della Sanità Pubblica per questioni relative alla salute).
È dunque importante, nel tempo, costruirsi una “mappa delle fonti”, tenendo a mente (o salvando) gli indirizzi di siti che riteniamo affidabili o di qualità. Si tratta magari di fonti primarie, cioè fonti originali, che contengono dati “di prima mano”: se voglio informazioni sul Museo dei Trasporti, il sito https://www.verkehrshaus.ch è sicuramente più affidabile che TripAdvisor o di un blog di viaggio. In altri casi si tratta invece di fonti fidate, come potrebbe essere il sito d’informazione del servizio pubblico.
Per costruirsi nel tempo questa mappa di buone fonti è importante, quando si ha un bisogno informativo, non solo cercare le informazioni, ma anche prendersi il tempo per informarsi sulle fonti, soprattutto su temi delicati e complessi. È quello che alcuni ricercatori di Stanford hanno chiamato lettura laterale (in inglese: lateral reading; ne avevamo parlato in un altro articolo per il sito della CORSI): quando incontro un nuovo sito, è bene cercare di capire chi sia l’autore, perché scriva e se c’è qualcuno che ne verifica i contenuti.
Non abbiamo dunque una ricetta pronta che renderà tutti magicamente capaci di districarsi nel mare di informazioni del web – ma indicazioni chiare su come ognuno possa lavorare sul proprio stile di ricerca per trovare il proprio modo di informarsi in maniera corretta ed efficiente.
Luca Botturi, professore in media in educazione alla SUPSI
A proposito del progetto LOIS
https://loisresearch.wordpress.com/
https://data.snf.ch/grants/grant/188967
Podcast: https://www.supsi.ch/home/comunica/podcast/Late-teenagers-Online-Information-Search-LOIS