Il secondo contributo della rubrica giovani di questo 2022 è quello di Raffaele Pedrazzini, 26 anni, di Muralto. Ha conseguito, presso l’Università di Losanna, un Bachelor in geoscienze e letteratura italiana e svolge, da settembre 2021 a giugno 2022, un Master in economia e amministrazione pubblica all’USI; è, inoltre, vicepresidente del Consiglio del pubblico della CORSI.
Rubrica a cura di Daniela Beretta, Segretariato CORSI
Oggigiorno i mezzi di comunicazione conoscono una radicale virtualizzazione. Nei particolari frangenti legati alla pandemia, abbiamo poi assistito ad un rapido aumento della quantità di (dis)informazione in rete. Il confinamento a cui siamo stati sottoposti in due occasioni ha spinto una enorme quantità di persone a scrivere ed interagire con i propri profili virtuali sulle grandi piattaforme. Twitter e altri giganti del web hanno così visto un rapido aumento del numero di utenti e di interazioni, al punto che nella maggior parte dei casi, per evitare che lo sproloquio di alcuni imbecilli raggiungesse i creduloni o, insomma, i più sprovvisti, hanno attivato un filtro (comandato dall’intelligenza artificiale) che censura le bufale (e non, purtroppo) più eclatanti. Non sono mancanti però virologi, costituzionalisti, giornalisti ed economisti nati dall’oggi al domani che hanno aumentato la palla della disinformazione e confuso tanti animi sulla natura e sulle conseguenze della pandemia (tanto per citare un tema).
D’altra parte, non si può di certo sottovalutare il silenzio a cui ognuno si è confrontato e che, proprio a causa di quest’abitudine ad usufruire con smania di tali mezzi, rimanendo maggiormente a stretto contatto con sé stesso, sviluppa paure ed ansie. La corsa ai ripari è appunto stata disastrosa: ci riversiamo in massa nella condivisione sfrenata di messaggi e stories su Instagram, oppure ci intromettiamo nella vita altrui (servirebbe un altro predicato perché di fatto è la vita degli altri a rincorrerci), ignorando completamente la nostra risorsa più grande: il tempo. Viviamo quello altrui, non più riuscendo a cogliere ciò che nella nostra realtà si palesa. Come se non bastasse, siamo continuamente bersagliati dai consigli, dai suggerimenti, dal fruire continuamente senza interruzione, dal “ti potrebbe piacere…” o ancora dal “continua a guardare…”. Pensiamo, tra gli innumerevoli esempi, a Netflix (vero e proprio portale d’intrattenimento, da leggere magari in francese entretenir che ci dà l’altra oscura faccia della medaglia) che ci fa divorare serie TV e che porta con sé l’acclamata funzione dell’autoplay: ad ogni fine episodio la piattaforma ci fa ingurgitare quello immediatamente successivo. Un fiume che non arriva mai al mare. Ecco la povertà di cui vorrei parlare: perché siamo così passivi e fiacchi nei riguardi delle nostre vite? Perché dobbiamo mangiare il piatto cucinato a puntino da algoritmi o da pochi “esperti” che ci somministrano le solite minestre che monetizzano ai più? Ciò che non dobbiamo perdere è, per l’appunto, la curiosità. Essa ci spinge attivamente verso le cose e il processo che ci mette en quête è bellissimo e soddisfacente.
Assumiamo, dunque, un atteggiamento curioso che ci renda desiderosi e intraprendenti nell’accedere all’informazione e nel fare informazione. Così facendo potremo plasmare le nostre idee e le nostre opinioni, senza subire passivamente la volontà altrui. Questo lavoro di affinamento richiede certo intelligenza: ciò che passa per le forme digitali è ridondante, tante volte poco affidabile e molto spesso pedissequo. È facile, tuttavia, essere perseguitati da Twitter, Netflix e dalla grande famiglia di Facebook, che oggi monopolizza tutti i contatti virtuali, avendo da poco assorbito anche WhatsApp e Instagram (due applicazioni che, tra l’altro, non smettono di suscitare enormi perplessità riguardo alla privacy e all’uso dei dati degli utenti) e da altri elementi estremamente pervasivi che mettono a repentaglio le nostre identità digitali per meri scopi economici. Ma i frutti perversi del liberalismo sono anche altrove, ecco il rischio. L’arte, il cinema, il giornalismo e la musica devono ubbidire a leggi sconosciute alla loro natura (da quando una testata giornalistica deve usare una lista di parole chiave per i propri articoli affinché vengano promossi in cima alla lista di Google News? Da quando i brani sono sponsorizzati dalle grandi griffe perché contengano riferimenti espliciti a prodotti da loro venduti?).
Insomma, il mio invito non è di bandire ogni forma di nuova tecnologia per trasmettere informazioni (e a sua volta, informarsi) sarebbe anacronistico e forse anche un po’ insensato per un giovane della mia età, che ormai vive nel pieno della crescita e della diffusione di questi strumenti. È certo, però, che dipende tutto dall’uso che se ne fa. Allora, per usare sapientemente queste tecnologie, che, come detto poc’anzi hanno la potenzialità di raggiungere un pubblico vastissimo o di farci fruire in maniera istantanea di tante cose alla volta, impariamo a ponderarne l’uso e a mettere davanti la nostra razionalità, sempre chiedendoci se sia necessario sapere ciò che fanno gli altri, farci trascinare dalla corrente di fiumi di notizie da quotidiani gratuiti online o consumare senza misura stupidità sul web.
L’auspicio è di trovare un equilibrio tra realtà fisica e virtuale: è necessario farle convivere, altrimenti una soffocherà l’altra. Se ben sfruttate, le nuove tecnologie hanno potenzialità uniche e che a loro volta permettono di farci fare grandi cose, già oggi come domani.