Mari Luz Besomi-Candolfi è un volto noto nella Svizzera italiana: attiva in politica, infermiera psichiatrica, ospite di molte trasmissioni RSI, ma soprattutto una delle pioniere del calcio femminile a sud delle Alpi, nonché arbitro. In vista dell’evento “Sport e uguaglianza davanti alle telecamere” ci ha raccontato della sua esperienza di giocatrice negli anni Settanta e Ottanta, ma non solo…
Tu sei una pioniera del calcio femminile nella Svizzera italiana, tra le fondatrici della prima squadra di calcio femminile iscritta a un campionato svizzero, l’Fc Lugano femminile, nata come As Armonia femminile. Ci racconti come è nata questa esperienza e quale è il tuo rapporto con il calcio?
“Sono cresciuta a Massagno, ai tempi c’era un campo di calcio in cui giocava il Massagno e noi ragazzini della zona lo usavamo per le nostre partite, che duravano interi pomeriggi. Ero l’unica bambina e come spesso succede, come femmina devi essere molto brava per essere accettata e quindi alla fine ero una delle migliori tra i miei amici. In Ticino, a differenza della Svizzera interna, le ragazze che giocavano a calcio erano pochissime. Una volta che giocavo nel campetto di Massagno ho visto un gruppo di ragazze che si stava allenando. Era il 1976, pochi mesi dopo mi hanno invitata a una serata nel bar Coccodrillo di Lugano durante la quale è stata fondata la prima squadra di calcio femminile iscritta a un campionato svizzero di calcio femminile. Si chiamava As Armonia, perché è nata come squadra femminile della già esistente squadra Armonia maschile. Il presidente era Andrea Incerti. Per anni abbiamo giocato sempre solo in trasferta in Svizzera interna. A differenza dei maschi, che avevano diverse categorie di età, le donne giocavano tutte insieme dai 10 anni in su. Io ho iniziato che ne avevo 12 e giocavo con ragazze che ne avevano 18-20”.
Hai vissuto situazioni di pregiudizio a livello personale?
“Nel mio ambiente no, avevo il mio gruppo di amici con cui giocavo sempre, anche a ricreazione. Sapevano che giocavo bene e quindi mi hanno sempre accettata. La mia famiglia non mi ha mai ostacolata e mi ha sempre lasciata libera di fare quello che mi piaceva. Poi una volta sono andata in colonia e un pomeriggio ho chiesto di giocare a calcio, ma il gruppo di ragazzini mi ha detto che non potevo perché ero una femmina. Non mi hanno nemmeno lasciato provare, prendendomi anche in giro. Eppure io a calcio posso dire che giocavo davvero bene, ero forte. Così quella volta ho scoperto di colpo la discriminazione. E sono voluta tornare subito a casa”.
Che cosa ne pensi della situazione del calcio femminile oggi?
“Il calcio femminile non ha mai avuto molto seguito, quando giocavo io a bordo campo durante i tornei c’erano praticamente solo le giocatrici delle altre squadre. Penso che nonostante tutti gli sforzi che sono stati fatti negli ultimi anni, il calcio femminile navighi ancora in cattive acque. Le società sono molto riluttanti a investire nelle loro squadre femminili. Questo succede soprattutto nel calcio, perché atavicamente è un mondo solo maschile. Nei confronti del calcio femminile ci sono ancora molti pregiudizi, difficilissimi da abbattere”.
Tu sei stata anche arbitro, quasi sempre in campionati maschili, come è andata?
“Ho iniziato ad arbitrare quando è diventato troppo complicato continuare a giocare, per via del mio lavoro (essendo infermiera psichiatrica lavoravo spesso a turni e con orari irregolari). Ho sempre arbitrato nel campionato maschile. Erano gli anni Ottanta, sono arrivata fino in terza lega. Qualche commento sessista me lo sono sentita dire, ma per fortuna, essendo stata una giocatrice di buon livello, avevo una certa personalità anche come arbitro e non mi facevo intimidire. Come in tutte le cose, se una persona ha la possibilità di dimostrare quello che è capace di fare, allora il genere passa in secondo piano. Il problema per le donne è – per usare una metafora calcistica – riuscire a entrare in campo e dimostrare il proprio valore. Il fatto è che spesso le donne vengono lasciate in panchina”.
Tu sei molto legata alla RSI, hai partecipato anche a diverse trasmissioni. Come valuteresti lo sguardo della RSI e più in generale dei media della Svizzera italiana, sullo sport femminile?
“In generale trovo che sia abbastanza adeguato. Il fatto è che i media devono tenere in considerazione ciò che vuole il pubblico. Il recente Mondiale di calcio femminile ha avuto una buona copertura, ma era in fasce orarie secondarie. Non so quanto la SSR avrebbe investito se le partite fossero state in prima serata. Non è solo una questione di scelte etiche, nello sport contano moltissimo le pressioni degli sponsor, che ovviamente puntano sugli eventi che fanno maggior ascolti e hanno più spettatori. Non è solo una questione di spazio dato dai media. Alla base ci sono le società sportive: qualcuno ha scelto di investire su un ragazzino chiamato Messi, che aveva anche problemi di salute, avrebbero fatto lo stesso per una ragazza? Non credo. I media riflettono in gran parte la società e le sue dinamiche, quindi finché non cambiano quelle anche i media faticano a fornire una lettura diversa della realtà”.
In conclusione, che cosa diresti alle giovani che oggi vogliono avventurarsi nel mondo del calcio femminile?
“Uno sport di squadra come il calcio non è diverso altri ambiti della società come la politica o il mondo lavorativo. Le difficoltà e le dinamiche che una donna incontra sono le stesse. Non credo che lo sport sia diverso dalla vita. Ma gli sport di squadra pongono una doppia difficoltà, perché prima devi farti largo nella società sportiva di cui fai parte e poi anche all’esterno. Questo può essere visto in senso sia positivo che negativo, perché tutto va in parallelo e se piano piano la situazione migliora in un aspetto della società, poi migliorerà anche negli altri”.
(nella foto a sinistra la squadra originale As. Armonia iscritta la prima volta al campionato. A sinistra l'allenatore Pierluigi Beroggi e a destra il presidente Andrea Incerti)
Guarda anche i servizi sul calcio femminile andati in onda nella trasmissione Obiettivo sport della TSI negli anni '70.
Giorgia Reclari Giampà, segretariato SSR.CORSI